venerdì 10 maggio 2013

I 55 giorni che hanno che hanno cambiato l'Italia


[10/05/2013] di Ferdinando Imposimato

Aldo Moro fu vittima della ferocia delle BR, ma anche di un complotto ordito da due uomini politici  che vollero la sua morte: Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Ma molti non vogliono saperlo, anche se quello fu l'inizio della terribile crisi politica e morale  in cui siamo precipitati.
L'8 maggio 2013, vigilia del 35 anniversario dell'assassinio di Aldo Moro, la salma di Giulio Andreotti è entrata  tra gli applausi  di una folla osannante nella Basilica  di San Giovanni dei Fiorentini, gremita di curiosi, giornalisti, politici e nostalgici. Mentre la tragica morte di  Moro è stata rimossa dalla coscienza di molti italiani.   Molti non sanno che lo stesso giorno 8 maggio di 35 anni fa, due  commando, uno  dei Carabinieri, i GIS, e l'altro della Polizia di Stato, i NOCS,  e  un gruppo di bersaglieri del battaglione  Valbella, di stanza ad Avellino ,  stazionavano in via Montalcini ove erano giunti  da diversi giorni. I  due nuclei   d'assalto  erano agli ordini del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e del commissario  Pasquale Schiavone ; erano  pronti a intervenire per la liberazione  di Aldo Moro ,  prigioniero  delle Brigate Rosse nell'appartamento situato all'interno 1 di quella stessa via al numero 8 . Senonchè la  mattina del 7 maggio  1978  era giunto, inatteso,  l'ordine ai gruppi militari, desiderosi di intervenire,  di abbandonare la postazione  di via Montalcini. Dal Ministero dell'Interno   una telefonata  aveva  fermato  l'operazione militare dei tre gruppi pronti a  compiere  l'assalto finale.  Ci fu un'ondata di sdegno nei militari, ma l'ordine venne eseguito  e fu il preludio della morte di Moro.
 Testimoni  importanti di questa storia sono   il brigadiere della Guardia di Finanza  Giovanni Ladu, l'ufficiale “Oscar Puddu”, nome in codice di un  appartenente alla  Gladio,  il carabiniere Alfonso Ferrara e altri  personaggi  che hanno preferito mantenere l'anonimato per timore di rappresaglie. Importanti documenti, nascosti ai magistrati inquirenti e giudicanti ,  venuti alle luce dopo molti anni di  silenzio, confortano le loro dichiarazioni sconvolgenti. Tra questi  le relazioni dell'uomo del Dipartimento di Stato Steve Pieczenik, consulente di Cossiga durante i 55 giorni. Pieczenik  ha confessato al giornalista francese Emmanuel Amarà di avere preparato la manipolazione strategica che   aveva  portato alla morte di Aldo Moro ( i 55 giorni p 8). Ecco alcuni brani di Pieczenik “ il nostro è stato un colpo mortale preparato a sangue freddo.. La trappola era che loro ( le BR nda) dovevano uccidere Aldo Moro. Io li ho abbindolato a tal punto che a loro non restava altro che uccidere il prigioniero. Cossiga era un uomo che aveva capito molto bene quali fossero i giochi. Io non avevo rapporti con Andreotti, ma immagino che Cossiga lo tenesse informato. La decisione di fare uccidere Moro non è stata una decisione presa alla leggera, abbiamo avuto molte discussioni. Ma Cossiga ha saputo reggere questa strategia e assieme abbiamo preso una  decisione estremamente difficile, difficile soprattutto per lui. Ma la decisione finale è stata di Cossiga e, presumo, anche di Andreotti”(i 55 giorni Newton Compton )
 La  verità, difficile da credere, è che la prigione di Moro era stata scoperta da uomini di Gladio/Stay Behind,  pochi giorni dopo la strage di via Fani e il sequestro di Aldo Moro. E che Gladio era controllata non solo dai militari,  come Giuseppe Santovito, Gianadelio  Maletti e Pietro Musumeci,  ma   anche dal Presidente Giulio Andreotti e dal Ministro Francesco Cossiga,  capi politici di Gladio, che  erano informati di tutto.  Cossiga rivendicò con orgoglio di essere un vertice di Gladio ed era al vertice di NASCO 15. La prigione  era stata messa subito sotto osservazione  da Forte Braschi  per ordine del  generale Gianadelio Maletti,  assistito dal colonnello Pietro Musumeci, entrambi iscritti alla loggia massonica propaganda 2. I due  ufficiali   impartivano le disposizioni  ai militari di Gladio ma anche a quelli di altre forze armate- bersaglieri-  sulle varie iniziative dirette a controllare la prigione  e a coloro che vi abitavano .  Ad essi era stato  annunziato  che ci sarebbe stata una irruzione militare in via Montalcini  n 8 per liberare   un ostaggio di cui non venne fatto il nome,  che poi si seppe essere Aldo Moro .  Sopra l'appartamento- prigione,  liberato dalla famiglia che lo occupava, i tecnici piazzarono i microfoni e le microspie .  I militari italiani e stranieri  erano  galvanizzati dall'idea di partecipare ad un'operazione storica , quella  di liberare  uno statista . Aldo Moro,  che era  nelle mani di spietati terroristi pronti a uccidere l'ostaggio. I servizi italiani avevano un ruolo di comando dell'intera operazione . Alcuni militari di Gladio , con l'aiuto di servizi segreti inglesi  (SAS) e  tedeschi (GSG9), avevano installato  dei registratori e delle microspie ad alta percezione,  per captare le conversazioni che avvenivano nella prigione. La notizia del coinvolgimento nelle indagini su Moro  dei servizi  inglesi e tedeschi era comparsa sul Corriere della Sera  fin da subito dopo la strage. Esperti del gruppo GSG 9 tedesco  erano partiti per Roma per svolgere compiti di assistenza tecnica. Subito dopo si seppe  che erano venuti in Italia due  ufficiali  dello Special Air Service ( SAS), che si erano attestati, durante il sequestro, “vicino a Roma”, secondo ciò che rivelò lo stesso Cossiga, che ammise  che “Gladio intervenne”. (i 55 giorni NC p 185). Da ricordare che Andreotti, quale Presidente del Consiglio, e Cossiga , Ministro dell'Interno ,  avevano istituito,  la mattina del  16 marzo 1978 ,   un  “comitato di crisi”  per la gestione   del sequestro Moro. Esso era  composto da  uomini della P2, ostili a Moro e al  «Compromesso storico» e controllati da Licio Gelli. Il comitato agì, fin dall'inizio,  per  interferire nelle decisioni della magistratura, impedendo l'esecuzione di ordini di cattura e di perquisizione,  ostacolando indagini, bloccando iniziative  nei confronti di alcuni brigatisti, ed escludendo dalle indagini la Procura della Repubblica e l'Ufficio Istruzione di Roma, tenendo i magistrati  all'oscuro di importanti notizie acquisite nel corso dei 55 giorni, tra cui la scoperta della prigione di Aldo Moro. Del comitato di crisi  facevano parte  Federico Umberto D’Amato ( tessera P2 n 554), capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale, il generale Giuseppe Santovito,  ( tessera P2 1630), capo del Sismi, vertice di Gladio controllato da Andreotti e da Cossiga, il generale Giulio Grassini, (tessera P2 1620), capo del Sisde, il generale Raffaele Giudice, ( tessera  P2 n 535) comandante della Guardia di Finanza,  il prefetto Walter Pelosi ,  capo del Cesis, tessera n 754) , Giovanni  Torrisi , capo di Stato maggiore della Marina Militare  ( tessera P2 n 631), Franco Ferracuti ( tessera 2137), agente della CIA; Pietro Musumeci , vice capo del Sismi ( tessera 487)  tutti affiliati  alla Loggia di Licio Gelli.  La scelta di questi personaggi, coinvolti in trame parallele contro la democrazia, venne decisa da Andreotti di concerto con  Cossiga.
Grazie alle informative dei vertici militari di Gladio,    anche Andreotti e Cossiga    erano  informati    non solo della ubicazione del carcere ma anche  degli sviluppi della prigionia di Moro  da uomini guidati dal colonnello Pietro Musumeci  e dal  generale Gianadelio Maletti . Maletti, che Ladu chiamava scherzosamente “Linetti”, per i capelli intrisi di brillantina,  da Forte Braschi impartiva ordini  per il  controllo , la videoripresa e la registrazione della prigionia di  Moro. Andreotti e Cossiga  cominciarono a dare  un contributo attivo  all'operazione Moro, avallando  la vergognosa  macabra messinscena “lago della Duchessa”,  attuata la  mattina del 18 aprile 1978. Andreotti e  Cossiga  consentirono  la diffusione del  falso comunicato n 7   delle BR. E   sostennero , contro la verità, che quel comunicato era vero ed autentico e proveniva dalle Brigate Rosse. Mentre esso  era stato formato  per ordine di Cossiga  e con l' assenso di Andreotti, da un uomo della banda della Magliana , ed  ebbe lo  scopo principale  di spingere le BR ad uccidere Aldo Moro.  Lo Stato voleva dimostrare che aveva sotto controllo le basi più importanti delle BR e che si era permesso anche di non arrestare Mario Moretti.
 La “scoperta” del covo di via Gradoli il 18 aprile 1978,  già noto ai servizi da prima del sequestro Moro, e la diffusione del falso comunicato sul lago della Duchessa,  vennero  usate contro il Presidente della DC  per creare un'operazione di facciata contro le BR. Lo scopo era di dissuadere  il  generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ,  pronto  coi suoi GIS  venuti a Roma da Milano,   dalla decisione  di liberare Moro,  ridotto in condizioni umilianti e degradanti  a causa della lunga prigionia. Lo Stato  stava già operando su altri fronti.  Ma l'operazione Lago della Duchessa non  fermò i Carabinieri del RIS, agli ordini del  coraggioso  generale dell'Arma, nè  gli uomini  della Polizia di Stato, guidati dal Questore Emilio Santillo e dal commissario Pasquale Schiavone , capo dei NOCS: i due commando dovevano intervenire il giorno 8 maggio 1978.
Il generale Carlo Alberto  Dalla Chiesa e il Questore Emilio Santillo    sapevano della prigione di Moro. Essi avevano partecipato a due riunioni plenarie ,  il 10 e il 14 aprile 1978, presso il Viminale del gruppo informativo e del gruppo operativo , creati all'indomani della strage di via Fani.
Il commissario  Pasquale Schiavone ,  responsabile dei NOCS,  aveva partecipato , con Santillo , Dalla Chiesa e il capo gabinetto del Ministro Cossiga, Arnaldo Squillante, a una riunione  al Ministero della Marina , qualche giorno dopo l'operazione Lago della Duchessa,  per mettere a punto un piano di intervento  armato  per la liberazione di Moro. Alcuni tecnici  che controllavano la casa di via Montalcini  parteciparono all'installazione  di una microtelecamera in un lampione di via Montalcini che serviva a vedere l'interno dell'appartamento ove era sequestrato Moro, ove  misero in funzione  registratori e microspie ad alta percezione per captare le conversazioni dei terroristi. A informare  costantemente  Cossiga ed Andreotti era  un  fedele collaboratore di Cossiga, il sottosegretario Nicola Lettieri,  nome in codice l'Aquila, vice capo del comitato di crisi  istituito da Cossiga e Andreotti . Lettieri  trasmetteva agli uomini di Gladio a Forte Braschi    “gli ordini dei due esponenti del Governo”. Fu lui che probabilmente   il 7 maggio 1978 trasmise   improvvisamente  il contrordine da parte del  Ministro dell'Interno, Cossiga, che agiva in perfetta armonia con il  presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
 Senonché  i militari, la sera del 7 maggio  1978,  inaspettatamente  ricevettero l'ordine di  abbandonare le loro postazioni assieme ai servizi  stranieri, che reagirono con sgomento e rabbia.
A raccontare questa incredibile storia sono stati alcuni testimoni diretti, militari presenti  in quella via  da alcuni giorni pronti a sacrificare la loro vita per salvare quella di Aldo Moro.  All'ultimo minuto era giunto  dal Ministero dell'Interno l'ordine di abbandonare il campo. Tutti capirono che Aldo Moro doveva morire. A dare conferma del ruolo giocato da Dalla Chiesa  fu , oltre all'ufficiale  Oscar Puddu,  anche Pasquale Schiavone , responsabile dei NOCS, i nuclei operativi centrali di sicurezza della polizia di Stato. Schiavone parlò di un incontro  al Ministero della Marina  cui partecipò il capo di Gabinetto del Ministro dell'Interno Cossiga, un esperto del terrorismo straniero, in cui fu messo a punto un piano per un intervento  coordinato  di Polizia e Carabinieri per liberare Moro, in caso di individuazione della prigione. In realtà la prigione era stata già individuata da tempo. Ma quando stava per avvenire il blitz, giunse un ordine  “dall'alto”.  Dalle dichiarazioni di Oscar Puddu, di  Mino Pecorelli e  di Giovanni Ladu,  ma anche dalla  intervista-confessione di Steve Pieczencik  e dai documenti  inviati  dal Ministro Vincenzo Scotti, emergeva chiaro che Francesco Cossiga e Giulio Andreotti conoscevano il luogo della prigionia di Moro, in via Montalcini. Puddu disse che il generale Dalla Chiesa , deciso a intervenire per salvare Moro, era stato convocato a Forte Braschi e  redarguito da  Giulio Andreotti e Francesco Cossiga  che, presente l'ufficiale Pietro Musumeci, coordinatore della intera operazione Moro,  gli avevano impedito di intervenire. (Il 55 giorni p 272)
E così Aldo  Moro, uomo giusto e pensoso del bene comune dell'Italia, venne sacrificato sull'altare delle ambizioni  di uomini politici crudeli e spietati, oggi osannati dal popolo italiano. Erano i prodromi di vergognose trattative e di patti scellerati  che  indegni uomini dello Stato  avrebbero avviato con la mafia e  i terroristi, contro la giustizia e la legalità.

Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi