[29/01/2014] di Ferdinando Imposimato
Il decreto IMU - Banca d'Italia
Il decreto
non riguarda solo l'IMU, ma prevede un aumento di capitale
diretto a salvare le banche azioniste di Bankitalia, a danno dei
cittadini. Si tratta di una scandalosa rivalutazione delle quote di
Bankitalia da 156.000 euro a 7.5 miliardi di euro: una donazione
miliardaria alle banche a spese dei cittadini , che aumenterà il
valore patrimoniale delle partecipazioni delle banche proprietarie
della Banca d'Italia. Per cui sembra sacrosanta la battaglia
parlamentare del M5S contro il decreto ,nel silenzio di coloro che
dimenticano che la Carta si difende anche tutelando i risparmiatori e
le piccole e medie imprese .
Banca d'Italia non è una istituzione pubblica autonoma e garante solo
dei diritti dei risparmiatori, ma un soggetto controllato da privati .
Azionisti della Banca d'Italia sono Intesa San Paolo, Unicredit, MPS,
INPS, Carige e altre Casse di Risparmio, istituti alcuni dei quali
coinvolti negli scandali che hanno avuto come vittime ignari
cittadini. A guardare la borsa, dei cinque peggiori titoli del 28
gennaio 2014 , ci sono anche banche azioniste della Banca d'Italia,
come il Monte Paschi che ha perso il 3, 3 per cento. Se così stanno
le cose , il decreto Imu-Bankitalia è truffaldino. La prassi di
mescolare in un unico provvedimento materie diverse ha il sapore di un
ricatto inaccettabile. Si tratta di stabilire se, pur di non pagare
l'IMU, gli italiani saranno costretti a sborsare somme ancora più
rilevanti nel medio e lungo termine, per salvare banche in crisi, con la
copertura di Bankitalia. Il problema maggiore è che esiste un clamoroso
e non risolto conflitto di interessi che affligge Bankitalia. Gli
scandali Parmalat e bond Argentini e la mancata soluzione dei problemi
emersi con danno dei risparmiatori ( coi bond Argentini, Parmalat ,
Cirio e l’Antonveneta), derivarono da situazioni confliggenti in cui
versava la Banca d’Italia. Che da un lato svolgeva compiti di
vigilanza e controllo sugli istituti di credito; dall’altro era di
proprietà degli istituti di credito che avrebbe dovuto controllare (ex
banche pubbliche divenute private); e infine era organo di tutela dei
risparmiatori cui la Costituzione assegna una speciale protezione
all'art 47 :<< La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in
tutte le sue forme>>. A questo si aggiunse un altro paradosso.
Che il Cicr. ( il comitato per il credito e il risparmio), organo che
doveva controllare la regolarità della condotta del Governatore
della Banca d’Italia, era composto dallo stesso Governatore che
avrebbe dovuto essere controllato dal Cicr , ma anche dai
rappresentanti delle banche controllate, comproprietarie della Banca
d’Italia, e di Ministri che avevano interesse a favorire
finanziamenti localistici, aperture di sportelli, prestiti a gruppi di
clientes, e roba del genere. Un guazzabuglio reso possibile da leggi
non leggi e carenze di leggi, che non contrastavano i gravi conflitti
tra interessi pubblici e privati. Il dissesto Parmalat giunse dopo due
truffe colossali in danno dei risparmiatori, i bond Cirio e i titoli
argentini, con 23 miliardi di euro bruciati. Con l’amara sensazione per
gli investitori di non potersi difendere. La SEC (Security and Exchange
Commission) descrisse il caso Parmalat come “una delle più grandi e
spudorate frodi finanziarie della storia”. Fu l’inchiesta della
magistratura milanese a costringere il Governo a varare una legge sul
risparmio che eliminò in parte questi conflitti. Le operazioni
truffaldine furono il risultato di controlli pressoché inesistenti di
Banca d’Italia. Ma anche di CONSOB, borsa, sindaci, revisori dei conti e
agenzie di rating che non funzionarono e non garantirono, come
dovevano, un reticolo di trasparenza e affidabilità. Gli organi di
controllo erano un costosissimo apparato di supporto per una miriade di
delitti (aggiotaggio, insider trading, truffa, falso in bilancio,
bancarotta fraudolenta, riciclaggio) al confronto dei quali i reati del
crimine organizzato appaiono poca cosa. Dalle indagini sugli scandali
Parmalat e Cirio vennero fuori nomi di politici di destra, sinistra e
centro. Si trattava di Ministri in carica, ex Ministri, ex Presidenti
del Consiglio di centro, destra e sinistra, ex Presidenti della
Repubblica, parlamentari e portaborse. In questo caso la par condicio
venne rispettata rigorosamente. A muovere la macchina della corruzione
fu un ceto politico arrembante, con l’appoggio di potentissimi
banchieri. E come in passato, i finanziatori furono i soli capri
espiatori, mentre i politici restarono indenni. Certamente la
depenalizzazione surrettizia del falso in bilancio , i condoni a
raffica e la mancanza di controlli hanno alimentato il crac Parmalat e
Cirio e quello del BPI e della Banca d’ Italia. La spinta maggiore è
venuta dalla certezza della impunità: la facilità con la quale
aggiravano i controlli, si infilavano tra le pieghe delle leggi, negli
ambienti politici e finanziari e nelle banche . Le operazioni
truffaldine sono state compiute con il concorso dei Governi . Che
diedero un avallo formidabile alle frodi di Parmalat e Cirio con una
politica criminogena fondata sulla depenalizzazione del falso nei
bilanci, sulla legittimazione dei fondi neri, sui condoni sui capitali
illeciti, sulle evasioni fiscali, sulla legge ex Cirielli che prevede
la prescrizione breve di delitti gravissimi. Ma le operazioni furono
anche il risultato di controlli pressoché inesistenti o compiacenti di
Banca d’Italia, in primis.