sabato 23 marzo 2013

Orazione funebre in onore di Pietro Mennea



[23/03/2013] di Ferdinando Imposimato

Per onorare Pietro Mennea , la mia parola è superflua. Lo onorano le sue gesta leggendarie che hanno fatto di lui il più grande atleta d'Italia, d'Europa e del mondo, il simbolo della purezza e della sacralità dell'atletica leggera. La mia parola è inadeguata, tra i tanti che lo hanno evocato, altro titolo non  ho se non quello di avere goduto indegnamente   del bene prezioso della sua   amicizia fraterna e della  sua stima.  Non solo fu il   leggendario atleta olimpionico, detentore  del primato mondiale dei 200 metri  per 17 anni, ma  anche scrittore ,   politico, avvocato, docente universitario,   e alfiere dei diritti umani.
Egli sempre ispirò la sua condotta di atleta e studioso di diritto e di politica ad un'etica rigorosa ed inderogabile. La sua ambizione più grande  era  la  conquista della gloria,  non per sciocca vanità, ma   per riscattare il destino dei più disagiati e negletti.  Nonostante la sua grandezza, in lui non ci fu mai  l'arroganza  e la superbia  di chi eccelle  in qualche campo dimenticando la fragilità dell'uomo e la modestia delle origini . Egli era  umile e modesto , anche se fiero  e  ribelle di fronte a qualunque  ingiustizia  . Il suo ideale  di vita era  un mondo in cui i più deboli  fossero protetti contro gli abusi dei più forti . Voleva   che lo sport  fosse  palestra  che servisse a preparare  i giovani alla lotta per la vita,  occasione per il dialogo e la pace nel mondo, e non strumento di arricchimento per  avventurieri  e mercenari a  scapito della salute dei giovani e del bene della collettività.  E questo disse anche nel suo ultimo interessantissimo  libro sulla strage di Monaco del 1972, al quale mi chiese di scrivere la prefazione.
 Ed è per tutto questo,  oltre che per il suo valore di  atleta, che noi amammo e amiamo Pietro al quale ci unimmo  nelle sue battaglie  in difesa dei diritti  inviolabili alla vita ed alla salute . Certo si siamo appassionati all'impegno agonistico di Pietro nel superare se stesso ed i potenti avversari,  che   egli amava e rispettava,  certo che abbiamo assistito  stupefatti ed  ammirati alle imprese della freccia del sud che surclassava i suoi  antagonisti  pronosticati come invincibili. Ed, attraverso il mito di Mennea, abbiamo provato l'orgoglio di essere italiani e meridionali, non più famosi per  tristi fatti di mafia, ma vedendo un nostro concittadino, esile e fragile uomo del sud, battere nettamente campioni americani , russi e tedeschi nella regina delle gare sportive:  la velocità. Ma non solo per questo ammirammo Pietro Mennea.
In Pietro abbiamo visto  la sintesi tra   la intelligenza speculativa, l'abitudine alla sofferenza, la capacità di sacrificio e di rinuncia, l'umiltà e la fierezza delle proprie origini, l'orgoglio, l'amore per la propria terra, la Puglia,  e la volontà di riscatto. Ma in più Pietro ha avuto  una virtù rara : il rifiuto della rassegnazione e dell'indifferenza come stile di vita. Per molti  era  inconcepibile  e presuntuoso  pensare di avvicinare   i  limiti di velocità raggiunti dagli atleti americani, dal fisico armonioso e possente , da sempre dominatori invincibili della velocità.  Mennea , senza lasciarsi  scoraggiare dal pessimismo degli scettici,  smentì le previsioni degli esperti, che non  gli attribuivano una minima possibilità di successo. Non dimenticheremo mai la gara dei 200 metri a città di Mosca : dopo un inizio incerto, quando i giochi sembravano ormai   fatti con i soliti neri americani,  improvvisamente negli ultimi 50 metri Pietro impresse una spinta prodigiosa alla propria corsa,  con tutta la rabbia  per le ingiustizie subite e per l'amaro destino sofferto dagli umili, superando nettamente tutti gli avversari, increduli ed ammirati della impresa  mitica del piccolo pugliese, sparviero in uno stormo di aquilotti.
Mennea, orgoglio di tutti gli italiani, soprattutto dei deboli e diseredati, entrò nella leggenda, non solo in Italia ma in tutto il mondo da quelle  mitiche olimpiadi di Mosca . Ma da quel momento di gloria, iniziarono le sofferenze morali e le umiliazioni  di Pietro. Gli oscuri omuncoli  che  avevano  sperimentato la impossibilità di usare  Pietro per i loro affari privati , videro in quel ragazzo dalla tempra adamantina  e dalla morale incorruttibile, un potenziale nemico dei loro progetti   che  avevano  come obbiettivi: il denaro ed il potere. Mennea  era un'anomalia: pretendeva di raggiungere i traguardi più difficili e le mete più ambiziose con la sola forza dei suoi meriti personali, legati al sacrificio, alla costanza, alla rinunzia, all'entusiasmo ed alla dedizione incondizionata  alle regole della lealtà, della correttezza e dell'onestà.
 Quell'esile ragazzo  dallo sguardo limpido e dalla volontà d'acciaio  rifiutò qualunque compromesso che comportasse   violazione del principio di legalità, consacrato  nella nostra Costituzione. Il suo stile di vita rigoroso nella vita e nello sport,  il suo amore  per la libertà e la giustizia, misero   in allarme i masnadieri che  avevano da sempre in mente di trasformare ogni tipo di sport in occasione di arricchimento, anche a costo  di “trangugiare ogni esigenza tecnica, sanitaria, etica e umana dell'agonismo sportivo” per usare le parole di Gianni Minà. Ma quel ragazzo senza protezioni , costretto ad emigrare per trovare un  campo di allenamento al suo  enorme potenziale,  era  un osso duro: caparbio, tenace , orgoglioso, deciso a non piegare mai la schiena  di fronte ai signori degli apparati, pronti a sfruttare i successi degli atleti comunque ottenuti, salvo  abbandonarli se  non più utili ai loro scopi, deciso a rifiutare  la frode, la corruzione, i falsi e   le manipolazioni dei risultati a scapito del merito.  Egli non ebbe il laticlavio, che pure gli spettava,  avendo illustrato la patria per altissimi meriti in campo sociale , poiché lo sport aveva ed ha una  fondamentale funzione sociale: ed egli aveva insegnato, col suo modello di vita,  a  milioni di giovani una della quattro materie che Aristotele indicava come essenziale  all'educazione dei giovani: “la ginnastica, in quanto concorre a sviluppare il coraggio”, assieme “alla grammatica , alla musica e al disegno” ( Aristotele  la politica Laterza Bari p 265)
 Nel  luglio 2011 volle affidare a me , indegno suo amico , la sua amara preoccupazione, nata  dopo che il  14 luglio , Roma aveva ufficializzato la sua candidatura  ad ospitare i Giochi Olimpici 2020 e    dopo il ritiro della candidatura di  Parigi e di altre 8 città nel mondo .  Egli disse in una intervista che rilasciò a me e che fu ospitata dalla coraggiosa Voce della Campania , queste testuali parole “Un Paese civile, governato da una classe dirigente responsabile, quando vi è un’economia  in crisi ,  non dovrebbe chiedere mai la candidatura delle Olimpiadi,  Soprattutto non dovrebbe farlo una città come Roma  che non ha i conti pubblici in ordine, ma una situazione debitoria molto elevata” Disse ancora Mennea con amarezza: “ Per l’Italia con uno dei più alti debiti pubblici al mondo,  che  cresce a ritmi del 4%, non appare opportuno affrontare questo genere di eventi. Roma non ha bisogno dei Giochi Olimpici per mostrare la sua grandezza. Questi sono eventi che durano  quindici giorni. Una volta terminati, lasciano costi e oneri infiniti a carico della città e del Paese che li organizza. Stiamo  pagando la gestione degli impianti per i Giochi invernali di Torino, mentre la Grecia è nella drammatica situazione in cui si trova anche per colpa delle Olimpiadi del 2004».
 Pietro Mennea fu un “perseguitato per causa della giustizia” , boicottato e isolato dai signori dello sport-affarismo,  non recedette  mai dai suoi principi. Pochi uomini coraggiosi lo sostennero sempre: Sandro Donati, Gianni Minà e Carlo Vittori, a loro volta vittime degli arbitri del potere per la loro intransigenza verso i corrotti. Nel frattempo caddero alcuni dei falsi miti dello sport, coloro che  avevano usato droghe e farmaci illeciti pur di vincere. Tra questi David Jenkins, dominatore effimero e falso dei 200 e 400 metri, consumatore e  trafficante di droghe, arrestato e condannato. E  Ben Johnson, altro grande campione della velocità , caduto nelle grinfie di affaristi senza scrupoli.
  Mennea comprese   da  tempo, con amarezza e sofferenza,  che le sue risorse  umane trascurate  dal potere  gli  imponevano di   rinunziare al suo sogno di dare ai giovani delle nuove generazioni il prezioso contributo di conoscenze  e di  insegnamenti  della  sua esemplare condotta di vita sportiva. Seguendo il consiglio di Aldo Moro,  che ammirava  quel  giovane atleta pugliese ,  Mennea scelse,  fin dal 1974, di iscriversi alla facoltà di scienze politiche . Egli si dedicò alla realizzazione degli ideali consacrati nella carta di Nizza  2000, assertrice della funzione sociale , educativa e politica dello sport. Contro il rampantismo economico e politico, che  favoriva  la diffusione del doping e i contatti con il crimine organizzato.
Ma Mennea estese   la sua analisi impietosa “all'abuso di  sostanze farmaceutiche lecite, che produce alla lunga problemi gravissimi che erano e sono causa di alterazioni artificiose  indotte nei sistemi biologici dell'individuo” .  Da queste premesse Mennea rivendicò  la esigenza di un diritto allo sport, come diritto inviolabile,  che  tutelasse la funzione sociale dello sport  come strumento per favorire l'  educazione , l'integrazione delle razze, delle religioni, e delle classi sociali, contro ogni discriminazione e  razzismo. Mennea tese  alla attuazione dei principi affermati nella relazione di Strasburgo del settembre 2000, affinché “le federazioni sportive proteggessero i minorenni, vietando che essi  fossero oggetto di speculazioni commerciali e dando loro una  formazione educativa e lavorativa complementare alla formazione sportiva” “ Con una attenzione particolare alla loro salute ed alla prevenzione del doping” ( art 12 Carta di Nizza).
Nella sua analisi rigorosa e implacabile, Mennea ricordò la falsificazione del salto in lungo di Evangelisti durante i campionati di atletica  del 1987, che  aveva portato alla emarginazione di Donati, che  aveva denunziato lo scandalo, mentre il gruppo dirigente che sapeva e tacque rimase  ai vertici dello sport   senza pagare  per le loro colpe.
Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che Mennea ci ha lasciato,  quando esortò gli atleti a rifiutare l'uso del doping sulla loro pelle e  sulla loro vita .  Le sostanze dopanti  avevano prodotto un effetto venefico anche sul nostro animo  di amanti dello sport , provocando delusione e scetticismo. E il dubbio che dietro ogni clamorosa vittoria si nascondesse l'epo o il testosterone o qualche pianta esotica che sfuggiva  ai controlli cominciò a serpeggiare in tutti noi.  Spiace di dovere dire queste cose , ma so di rispettare la volontà di Pietro Mennea e di Manuela , sua  moglie  fedele , la quale lo sostenne, con grande coraggio  e  intelligenza  nelle sue difficili  battaglie .
Ma, come Mennea, credo che una drammatica  verità sia preferibile ad una pietosa illusione.
E che l'Italia si può salvare solo seguendo l'insegnamento di Pietro Mennea, non degli squali che navigano nel  mare agitato dello sport.  Bisogna con Mennea ripudiare il motto cinico che aleggia sinistro sullo sport in Italia e all'estero, e anche sulle olimpiadi: l'importante non è partecipare, ma vincere ad ogni costo e con ogni mezzo. E  bisogna respingere  la filosofia machiavellica che “il fine giustifica i mezzi”, che è stata tirata in ballo anche per giustificare  le stragi di Stato   e i delitti più  feroci. Oggi  occorre evitare che , grazie al doping,  una schiera di  lestofanti senza arte né parte  mantenga in eterno, nelle sedi mondiali,  i  propri  posti al vertice dello sport. Mennea insegnava che non era possibile pretendere di  vincere  ad ogni costo e con ogni mezzo, che non si poteva accettare di vincere per esprimere  in medaglie d'oro la  supremazia degli squali, perché ad ogni medaglia corrispondeva un rafforzamento delle loro posizioni di potere, un finanziamento statale o un contratto pubblicitario miliardario  gestito senza controlli e la gloria effimera decantata da giornalisti che fingevano di non vedere, non capire e non sentire, pur di garantirsi  laute ricompense o premi dentro organi di informazione. Era questo groviglio di interessi che denunziò  Pietro Mennea,  convinto che l'etica nello sport  e la ricerca della verità potevano dare al miglioramento della condizione dell'uomo, dentro e fuori dello sport, un contributo sicuramente superiore alle astuzie di una politica calcolatrice e machiavellica , che a lungo andare   distruggeva  la salute e la vita dei giovani, la loro speranza e le nostre illusioni.
L'insegnamento che viene da Mennea è straordinario: non basta vietare ai giovani l'uso di sostanze dopanti e l'abuso di sostanze lecite , dannose alla salute; ma occorre far capire loro che  nulla vale quanto la propria integrità fisica e quella dei propri figli, vittime innocenti degli errori dei padri. Occorre inculcare nei giovani l'etica del sacrificio e della responsabilità demolendo il culto del successo; insegnare loro che le persone si valutano per quello che riescono a dare e non per quello che riescono a farsi dare senza averne meriti. Lo sport non deve essere il traguardo finale della vita, ma la tappa di un lungo cammino irto di difficoltà e di sofferenze. E a Mennea  rivolgo le frasi di Tucidide : “ potente per dignità e per senno, chiaramente incorruttibile al denaro, non parli al popolo per lusingarlo, come avresti fatto se avessi ottenuto il successo con mezzi illeciti, ma lo contraddici anche sotto l'influsso dell'ira, avendo tu ottenuto la gloria e la fama per tuo merito personale” ( Tucidide le storie II 69).  Mennea   non accettava di fare parte di quella schiera di uomini  che “ preferiscono essere  chiamati abili malvagi piuttosto che sciocchi galantuomini, e dell'una cosa si vergognano dell'altra si vantano”. Mennea ricordava che “ chi si abitua alla lotta riesce a combattere anche quando è  a terra, completamente disarmato, vendendo cara la propria pelle, non rassegnandosi alla sconfitta, ma tentando fino alla fine di pervenire alla vittoria e quando incontra la sofferenza , chiunque ne sia portatore, le muove guerra, perché comprende perfettamente che laddove regni il dolore l'umanità, tutta l'umanità subisce un clamoroso smacco”
Noi possiamo rinascere solo seguendo l'insegnamento di Pietro Mennea. Grazie Pietro per tutto quello che ci hai donato , nello sport , nella vita, nella politica , nell'etica.

Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi