giovedì 24 giugno 2010

Il referendum illegittimo di Pomigliano

di Ferdinando Imposimato [23/06/2010]

Anche se a Pomigliano ci fosse stato un plebiscito di si, l'accordo sarebbe stato illegittimo per contrasto palese con più articoli della Costituzione. Esistono i diritti inviolabili dell'uomo, che, proprio perchè tali, non sono disponibili, neanche con il consenso dei lavoratori. Tra essi, è il diritto al lavoro, con tutte le garanzie che lo riguardano e lo tutelano.

E' bene ricordare che la Costituzione pone al primo posto, nella gerarchia dei valori, non lo Stato o l'impresa privata, ma la persona umana e il lavoro, e rifiuta qualsiasi concezione utilitaristica del lavoro. A questo riguardo l'articolo 41 della Costituzione, che la maggioranza vorrebbe cambiare sciaguratamente, afferma che “l'iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana del lavoratore”. La pretesa di esigere un lavoro, che vada oltre i limiti della dignità e della sicurezza della persona, si pone contro la Costituzione vigente.

Il diritto al lavoro, ricorda il Presidente Ciampi, è il pilastro della democrazia. Ma il lavoro non può essere trattato come merce di scambio, soggetta alla legge della domanda e della offerta. E' assurdo equiparare il lavoro, come fa la Fiat chiamando in causa i polacchi, alle patate o ai fagioli o ai cavolfiori, i cui prezzi aumentano o diminuiscono a seconda della quantità offerta; se, in una situazione di crisi occupazionale, come quella attuale, vi è una offerta enorme di lavoro e una domanda che si riduce, la risposta non può essere la riduzione delle retribuzioni, come avviene nella compravendita delle patate o degli altri prodotti. O il ricorso a lavoratori disposti a lavorare oltre i limiti consentiti. La risposta deve essere una riduzione del lavoro e una sua redistribuzione tra il maggior numero di lavoratori, guardando all'esempio non della Polonia ma di Francia e Germania, dove vige una giornata lavorativa di 35 ore, e la competitività è assicurata lo stesso.

Il lavoro è la risorsa più grande del nostro popolo e la sua tutela interessa tutti. Compito della Repubblica è non solo di promuovere le condizioni per rendere effettivo questo diritto ma di fare in modo che ogni lavoratore abbia una retribuzione che lo liberi dal bisogno e gli consenta di dedicarsi al proprio miglioramento spirituale per esercitare in modo responsabile i propri diritti politici.

Il precariato, i salari di fame e le sanzioni disciplinari, previste nel contratto aziendale della Fiat, sono una lesione intollerabile della dignità dei lavoratori e della loro libertà. Essi hanno diritto allo sciopero, se sono in pericolo sicurezza e libertà, e a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, e disoccupazione involontaria. Si tratta di diritti indisponibili. Chi oggi dice si, per costrizione o bisogno di sopravvivenza, domani può rivolgersi al giudice per reclamare la lesione dei suoi diritti.

E non può certo dirsi, come insinua la Fiat per i metalmeccanici, che i lavoratori italiani operino in condizioni di comodo e di disimpegno, se teniamo presenti i numerosi casi di morti bianche all'ordine del giorno, su cui spesso è intervenuto il Presidente della Repubblica per richiedere il rispetto di dignità e sicurezza. Le morti sul lavoro sono una piaga sociale quotidiana dovuta allo stress da superlavoro e alla mancanza di quelle condizioni di sicurezza che gli imprenditori dovrebbero osservare e che invece, per ridurre i costi, trascurano. La sicurezza del lavoro in Italia è la più drammatica di tutta l’Europa. In Italia si sono verificati circa un milione di infortuni sul lavoro nel 2003, e cinque milioni negli ultimi cinque anni. Secondo l’Associazione nazionale mutilati ed invalidi sul lavoro, una morte sul lavoro, ogni quattro decessi che si verificano in Europa, avviene in Italia. E questo è un primato che dovrebbe farci vergognare!

Secondo Aldo MoroLa Costituzione contiene nella sua struttura un pericolo abbastanza grave. Essa nella prima parte tutela i diritti inviolabili, i quali non solo derogabili mediante contratto, ma non dovrebbero mai essere oggetto di revisione costituzionale perché alterarli significherebbe condannarsi al ridicolo, al disordine, alla tragedia”. E questo non è accettabile. “E perciò è necessario- dice Moro- che tutti gli uomini di buona volontà siano concordi nella difesa di quei principi fondamentalmente umani e cerchino di trascriverli, prima che sulla carta, sulla viva pagina dei cuori”. ( A Moro scritti 1940 1948 ed Cinque Lune).

Anzitutto nel contratto predisposto dalla FIAT, senza discussione con i lavoratori, vi è un chiaro condizionamento del diritto di sciopero tutelato dall'art 40 della Carta. Nel contratto aziendale sono previste azioni disciplinari e persino licenziamenti in caso di scioperi per turni di lavoro e straordinari. Vale a dire di scioperi di natura tipicamente economica. Ma l' “accordo”, firmato in una situazione di estremo bisogno dei lavoratori, lede altri due articoli della Costituzione, gli artt 32 e 36, che sono cruciali, ma di cui gli esperti si sono dimenticati. Infatti il contratto sottoposto a referendum prevede delle sanzioni economiche contro i lavoratori, che intaccano il principio per cui “i lavoratori hanno diritto ad una retribuzione adeguata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e comunque tale da garantire una vita libera e dignitosa”. Orbene il contratto aziendale territoriale che vieta lo sciopero per turni di lavoro massacrante o la mancata concessione del riposo settimanale “è illecito – afferma la Corte di Cassazione- siccome in contrasto con il precetto costituzionale dell'art 32 della Costituzione che tutela il bene della salute come diritto primario assoluto, e l'art 36 della Costituzione, che tutela la dignità del lavoro , e non può essere validamente derogato né da clausole di contratto collettivo o individuale o di altro genere , che sarebbero nulle, né dalla legge , che sarebbe sospettabile di illegittimità costituzionale. In relazione al diritto fondamentale garantito al lavoratore – quale il diritto di sciopero e il diritto al riposo settimanale o per malattia-, la mancata concessione del riposo o addirittura la sua punizione, contrasta, secondo la Consulta , con norme imperative , rispetto alle quali l'eventuale adesione ad esse del lavoratore – come nel caso di Pomigliano-, non può avere rilievo, stante l'irrinunciabilità del diritto leso” (Cassazione 26 gennaio 1999 n 704)

Sicchè coglie nel segno il prof Alberto Capotosti, presidente emerito dalla Corte Costituzionale, quando afferma, in una intervista a “L'Espresso” del 24 giugno 2010, che il contratto approvato dal 62 % degli operai di Pomigliano è inutile, più che nullo, perchè in contrasto in modo insanabile con la Costituzione. Comprendiamo le necessità di migliaia di lavoratori costretti a firmare, ma deploriamo che una grande azienda profitti dello stato di bisogno per limitare diritti umani fondamentali.

Ma accanto a queste ragioni di ordine giuridico, si pongono elementi di difesa della democrazia. Ed infatti il contratto aziendale, di cui anche il PD invoca incoscientemente l'attuazione, ledendo il dovere di solidarietà politica, economica e sociale, ( art 2 ) , impedisce la libertà del lavoratore dal bisogno. In questa situazione di aggressione al diritto al lavoro dignitoso garantito dal diritto di sciopero e contro turni massacranti, vorremmo che il Presidente della Repubblica, che, come diceva Calamandrei, è la viva vox della Costituzione ed il simbolo della unità nazionale, esercitasse la sua funzione di garanzia, rilevando la incostituzionalità dell'accordo di Pomigliano e di eventuali altri accordi del genere. Noi auspichiamo che egli continui a svolgere la funzione di filtro delle leggi, respingendo la pretesa della maggioranza che vorrebbe ridurlo a una mera funzione notarile di ratifica delle scelte verticistiche del Presidente del Consiglio e dei suoi Ministri. Così come speriamo che il Colle richiami i governanti, gli amministratori e gli imprenditori al rispetto del principio di legalità costituzionale e al perseguimento degli interessi generali dei lavoratori e non settoriali della impresa. E richiami le forze di maggioranza e di opposizione al rispetto delle norme costituzionali che tutelano il diritto al lavoro e la sua dignità, essendo il lavoro la principale risorsa del nostro sventurato paese.

Se si vuole garantire anche l'obiettivo del soddisfacimento dei bisogni fisici e la possibilità dello sviluppo spirituale di tutti i lavoratori, si rende necessario un secondo tipo di libertà: la libertà dal bisogno. L'uomo non dovrebbe essere costretto a lavorare per il soddisfacimento delle necessità vitali al punto da non avere né più tempo né energia per le occupazioni personali e per svolgere attività politica. Senza questa libertà dal bisogno, la libertà di esprimersi è per lui inutile. Il progresso tecnologico potrebbe consentire questo secondo tipo di libertà se si riuscisse a risolvere il problema della ripartizione della fatica con una riduzione dell'orario di lavoro, e non con un aumento.

Ferdinando Imposimato

sabato 23 gennaio 2010

La politica e la giustizia


di Ferdinando Imposimato [22/01/2010]

Il processo breve è solo l'inizio di un'ondata di leggi personali che ci travolgerà senza rimedi. Ovviamente varata in una situazione di conflitto di interessi tra il bene privato perseguito dal premier e il bene pubblico alla legalità e al ristoro dei danni di milioni di cittadini, che vedranno vanificate le loro attese di giustizia. Una legge che salva i governanti e i politici dai reati contabili: una legge che non abbassa le tasse, non provvede al reddito sociale, ma rinuncia a 500 milioni di euro dovuti da politici e amministratori responsabili di reati contabili. La legge avvantaggia i delinquenti più pericolosi e punisce i più deboli. Ledendo il principio di legalità (art 25 Cost) e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art 3 Cost). Con il pretesto di abbreviare i tempi del processo, la legge crea una specie di impunità per i responsabili di delitti gravissimi. Siccome per quasi tutti i reati di corruzione e le truffe colossali in danno dei risparmiatori, e gli omicidi colposi,- i bond Cirio e i titoli argentini, con miliardi di euro bruciati, le bancarotte, il riciclaggio e il falso in bilancio-, le istruttorie dibattimentali sono lunghe e complesse coinvolgendo paesi stranieri i due anni di un grado del processo saranno sempre superati. E si estingueranno i processi per corruzione contro il premier. E le frodi Parmalat e Cirio contro squali della finanza e politici corrotti. Non solo. Saranno prescritti gli omicidi colposi commessi da criminali imprenditori ai danni di migliaia di operai morti per amianto (Eternit) o violazione delle norme sulla sicurezza (Thyssen). Per colmo dei colmi, non beneficeranno della legge gli immigrati clandestini e i recidivi; sicchè i condannati per un furto al supermercato saranno processati e puniti, mentre corrotti e corruttori, peculatori di pubblico denaro per milioni di euro, speculatori selvaggi, devastatori dell'ambiente e truffatori internazionali si salveranno. E continueranno a delinquere. Mentre non si prevede nulla fare funzionare la giustizia; non si prevede di assicurare personale mezzi e risorse per garantire che i processi siano portati a termine, e consentire allo Stato di recuperare ingenti risorse alla mafia e alla corruzione per destinarle e fini sociali. Ma si farà in modo che le ricchezze depredate allo Stato e ai cittadini restino nelle mani dei criminali e dei loro protettori. Qui i processi non saranno giusti; non ci saranno per nulla, perchè si estingueranno in breve tempo. Ma qui bisogna ricordare ciò che dicevano alcuni grandi dell'antichità rispetto alla crisi della legalità e della giustizia, che sembra non interessare gli italiani.

Molti cittadini pensano che ciò che accade non li riguardi; che sia in corso un duello tra il premier e i giudici. I media alimentano questa menzogna spudorata, facendo credere che il premier è perseguitato da magistrati faziosi. Non è così: il conflitto è tra la democrazia e la tirannide bianca. Che si serve dello scudo della maggioranza, asservita al premier. Ma restare assenti e inerti è un errore. La battaglia ancora una volta riguarda la nostra libertà e lo stato di diritto . Che per alcuni non esiste ed è un involucro vuoto.

Smith diceva che "talora l'interesse del governo e l'interesse di particolari gruppi di uomini che tiranneggiano il governo, fanno allontanare le leggi positive di un paese da ciò che la giustizia naturale prescriverebbe". Nessuna società- diceva Adam Smith, il padre dell'economia classica- può esistere senza la giustizia, intesa come applicazione della legge positiva secondo i principi di eguaglianza e di legalità. La beneficenza per Smith è meno essenziale della giustizia alla esistenza della società. "La società può esistere senza beneficenza, pur non nello stato più confortevole: ma il prevalere dell'ingiustizia la distrugge totalmente". E noi stiamo andando verso l'autodistruzione. Secondo Smith la beneficenza è l'ornamento che abbellisce l'edificio, non il fondamento che lo sostiene. La giustizia, invece, è il principale pilastro che sorregge l'intero edificio della società. Se viene rimosso il pilastro giustizia, la società umana in un attimo si sgretolerà in singoli atomi. La società non può esistere se le leggi della giustizia non vengono osservate a sufficienza. L'ingiustizia tende necessariamente a distruggere la società. Noi siamo in questa fase che ci può portare verso la disgregazione e la richiesta di un “uomo forte” che ristabilisca l'ordine pubblico e la legalità , ma di marca fascista.

La legge sul processo breve è coerente con una politica criminogena fondata sulla depenalizzazione dei falsi dei bilanci, sulla legittimazione dei fondi neri, sui condoni , sulle evasioni fiscali, sulla legge ex Cirielli che prevedeva la prescrizione breve di delitti gravissimi. Intanto è in gestazione anche una amnistia per i bancarottieri soprattutto delle grandi imprese , che godrebbero di un trattamento di favore rispetto ai piccoli e medi imprenditori.

Il rimedio del referendum abrogativo sarebbe poca cosa; esso non arriverebbe mai, e se giungesse in porto, non rimedierebbe alle gravi ingiustizie consumate nel frattempo. Intanto si preparano altre riforme: la separazione delle carriere e la riforma del CSM per consentire al Governo di nominare magistrati asserviti al potere politico. Molti non hanno compreso che la indipendenza della magistratura non è un privilegio dei magistrati ma una garanzia dei cittadini.

Ferdinando Imposimato

sabato 2 gennaio 2010

Appello a Giorgio Napolitano

Illustre signor Presidente della Repubblica,

mi consenta di esprimere pubblicamente la mia perplessità circa il Suo appello a riforme istituzionali condivise, di cui però si ignorano i contenuti. Se le riforme riguardano materie bocciate dal referendum 2006, - senato federale, premierato e Consulta- credo sia legittimo chiedere che non siano riproposte. D'altra parte una riforma prioritaria concerne il conflitto di interessi, che riguarda la libertà e il pluralismo della informazione (art 21 cost), di cui nessuno parla. Mi sarei aspettato che la riforma proposta dalla opposizione riguardasse il superamento del controllo di tutte le TV da parte del Premier. Talune delle coscienze più sensibili del nostro Paese- Paolo Sylos Labini, Giorgio Bocca, Giovanni Sartori e Vito Laterza- fin dal 1994 lamentarono la violazione del decreto presidenziale 30 marzo 1957 n 361 che all'articolo 10 contempla il caso Berlusconi: “Non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica...”. Quando Berlusconi fu eletto, il Parlamento concluse per la sua eleggibilità, in base ad un'assurda interpretazione della legge. Sartori ammonì: “io mi rifiuto di giocare a scacchi contro qualcuno che ha due regine perché così lui vince sempre ed io perdo sempre”. Ed è ciò che accade da anni. Non credo che questo si possa tollerare oltre.

La preoccupazione aumenta perché in base alle ricerche del Censis e dell'Unione Stampa cattolica siamo il Paese in cui la popolazione guarda la TV per tre ore e quaranta minuti al giorno, la media più alta d'Europa. Mentre il consumo di carta stampata si è di molto ridotto. Gli italiani sono videodipendenti. La TV costituisce il mezzo di (dis)informazione fondamentale di questo paese. Si può parlare di dittatura mediatica, nonostante le apparenze di libertà. Cinque delle sei TV sono direttamente o indirettamente controllate dal premier per ragioni di proprietà (mediaset) e di controllo politico (RAI). Al Presidente del Consiglio non può essere consentito di promuovere riforme esiziali per la democrazia solo perché ha subito una aggressione deprecabile le cui conseguenze non devono riflettersi sui cittadini. Albert Einstein, dall'America profetizzò 65 anni fa: “ Le moderne democrazie mascherano regimi tirannici: utilizzano i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini”. La stessa analisi vale per l'Italia ove esiste un pensiero unico dominante nella informazione monopolizzata che brilla per la falsificazione delle notizie e i silenzi su questioni cruciali, come i rapporti mafia-politica. Per questo occorre uscire dal vago: democrazia è trasparenza e controllo. E la chiarezza e il controllo mancano nella partita delle riforme.


Ferdinando Imposimato
01 Gennaio 2010

Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi