martedì 30 ottobre 2007

L'avocazione dell'indagine di De Magistris

L'avocazione dell'indagine di De Magistris



La pratica dell'avocazione è iniziata negli anni '60.


La sottrazione del processo al sostituto Luigi De Magistris mediante avocazione riporta alla memoria analoghe pratiche in uso negli anni sessanta settanta. A quel tempo, quando il potere politico voleva liberarsi di magistrati scomodi come Gerardo D' Ambrosio o Emilio Alessandrini, ostinati nella ricerca della verità sulle trame eversive e sulle stragi , favorite all'interno delle istituzioni e dei servizi asserviti al potere, faceva ricorso a Procuratori Generali compiacenti, quasi sempre romani; costoro sollevavano inesistenti conflitti di competenza con i magistrati milanesi per sottrarre ai titolari processi scottanti e trasferirli a Roma, ove venivano regolarmente insabbiati a scapito della giustizia e della verità e a vantaggio dei colpevoli.


Anche allora lo strumento iniziale dell'imbroglio era l'avocazione: un Procuratore Generale di un processo inventato a Roma per fatti inesistenti connessi con quelli milanesi sollevava conflitto di competenza con altri PM.

Nel conflitto, complice qualche giudice in Cassazione, aveva la prevalenza sempre la magistratura romana, che una volta ricevuto il processo, lo narcotizzava o lo affidava a mani amiche che provvedevano a condurre le indagini secondo la volontà del potere e senza disturbare il manovratore. La prassi ignobile iniziò con la rapina del processo per la strage di Piazza Fontana favorita da una infausta avocazione. Il processo da Milano venne a Roma, da qui venne dirottato a Catanzaro per poi tornare a Roma, dove Vittorio Occorsio aveva imboccato la strada giusta ma fu ucciso; e, dopo oltre vent'anni di indegni balletti, ritornò nella sua sede naturale di Milano . Dove vennero rinviati a giudizio alcuni dei presunti responsabili. Nel frattempo, erano morti assassinati alcuni magistrati che avevano capito come erano andate le cose: tra questi Emilio Alessandrini e lo stesso Occorsio, assassinati, erano morti molti testimoni importanti, ed il commissario onesto di Padova che indagava sulla pista nera venne rimosso.


L'avocazione fu usata anche per la P2


La stessa procedura venne seguita a Roma per il processo contro Licio Gelli che aveva buoni rapporti con alcuni terroristi, come Paolo Aleandri, che me lo raccontò , ma anche con il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, e con Vito Miceli, capo del SID (Servizio Informazione Difesa) , e con il Ministro Gaetano Stammati e tanti altri. Il processo venne sottratto al Pubblico Ministero milanese Gherardo Colombo e affidato a Roma nelle mani di chi lo insabbiò affermando che la P2 era una specie di associazione filantropica di nessun pericolo per la collettività. A quel tempo la Procura romana era notoriamente diretta da magistrati scelti da Giulio Andreotti e di sua totale fiducia.


Un freno alla pratica dell'avocazione:
l'indipendenza e imparzialità della magistratura.


Poi venne finalmente l'istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura e la nomina dei magistrati al vertice delle Procure fu fatta nel rispetto dei meriti e con le garanzie di indipendenza e imparzialità stabilite dalla Costituzione. Nel frattempo con il nuovo codice di procedura penale del prof Giuliano Vassalli l'avocazione venne del tutto svuotata della sua portata di strumento lesivo della indipendenza dei magistrati, compresi i PM, e mantenuta solo per casi tassativi ruotanti attorno alla inerzia del magistrato del PM; se ad esempio un PM, indagando per un delitto gravissimo di corruzione o criminalità organizzata o terrorismo, non provvedeva, nonostante le prove, a iniziare l'azione penale, come era suo dovere, il Procuratore Generale interviene per sostituirsi al magistrato inerte ed insabbiatore.


Il ritorno della pratica dell'avocazione.


L'avocazione del procedimento condotto da Luigi De Magistris da parte della Procura Generale di Catanzaro ci riporta a quel triste passato e ci preoccupa enormemente: l'influenza nefasta dell'esecutivo delle inchieste giudiziarie più delicate é pesante. Viene violato il principio costituzionale della separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.



Il tentativo di Mastella di avocare l'indagine contro Prodi e Mastella.


Venendo al fatto di oggi, mentre era in corso un'indagine contro Romano Prodi e Clemente Mastella, per episodi di corruzione per miliardi di lire – che sarebbero avvenuti quando il Presidente del Consiglio era presidente della Commissione Europea- é stata dapprima avviata dal Guardasigilli Mastella una procedura con richiesta di trasferimento del De Magistris per illecito disciplinare, e poi una procedura di avocazione del procedimento da parte del Procuratore Generale. In altre parole, non essendo stato possibile sottrarre il processo a De Magistris con il trasferimento del magistrato ad altro ufficio, richiesta di fatto bocciata dal CSM, si é pensato di trasferire il processo in altre mani: costoro, solo per orientarsi , avranno bisogno di qualche anno di tempo, data la mole di materiale sequestrato dal sostituto di Catanzaro.

E dunque l'appello del Presidente della Repubblica a proseguire le indagini verrà vanificato nei fatti, con tutta la buona volontà di chi riceve gli atti.

Intanto al magistrato De Magistris non é stato possibile addebitare alcuna strumentalizzazione politica poiché in quell'affare che coinvolge Mastella e Prodi, sono stati indagati anche alcuni esponenti del centro destra come Lorenzo Cesa, segretario dell'UDC, e Giuseppe Galati e lo stesso Presidente della Giunta regionale calabra Agazio Loiero.


Qual'è l'oggetto della indagine di De Magistris ?


Ma , attenzione, quale é il fatto che é oggetto della inchiesta di De Magistris? L'appropriazione di miliardi da parte di un comitato di affari di cui avrebbero fatto parte i predetti personaggi. La stampa ci ha correttamente informato che contro gli indagati non c'erano solo i tabulati delle telefonate passate attraverso i cellulari di Prodi, ma anche la accuse di un testimone importante, un politico detenuto, ex consigliere regionale calabro, che assistette ad una telefonata fatta dal faccendiere Antonio Saladino a Romano Prodi. Durante il colloquio con Prodi si sarebbe concordato che una volta formalizzata la candidatura di Prodi come Presidente del Consiglio alle elezioni politiche del 1996, il Saladino si sarebbe messo a sua disposizione per procurargli voti, come effettivamente fece. In cambio il Saladino avrebbe avuto dal Presidente della Commissione Prodi un aiuto per ottenere i finanziamenti miliardari dell'Unione Europea per diverse iniziative avviate nella Regione Calabria attraverso i programmi. Saladino si sarebbe aggiudicato diversi appalti per milioni di lire e poi di euro senza partecipare a gare Domanda: ma come si può risollevare la Calabria dalla crisi che l'attanaglia se i soldi dell'Unione Europea, sempre più distratta ed assente, anziché finanziare opere pubbliche e private, affluiscono nelle tasche di politici di maggioranza ed opposizione? E se un magistrato che cerca di portare alla luce le frodi comunitarie viene crocifisso anche con la complicità di magistrati asserviti al potere?


Qual'è il grande imbroglio ?


Ma andiamo avanti cercando di spiegare almeno in parte questo grande imbroglio, senza attendere i tempi biblici dei processi che si sta cercando di insabbiare. L'avocazione, cioé la sottrazione del processo a De Magistris, é stata decisa per motivi infondati che sono stati criticati da Gerardo D'Ambrosio, vittima a suo tempo di clamorose avocazioni e sottrazioni di processi; ma l'avocazione é stata deplorata anche dal giurista Franco Cordero, titolare di Procedura penale alla Sapienza. D'Ambrosio ha ritenuto pretestuosa la motivazione di “incompatibilità del procedimento” che non spiega niente, ed anzi alimenta le inquietudini. L'intervento del Ministro con la richiesta di trasferimento e l'avocazione del processo, una volta fallita la manovra del trasferimento, sono intervenute, guarda caso, mentre l'indagine stava per essere conclusa. Osserva D' Ambrosio che “ l'errore” del Ministro- ma si tratta di errore o di qualcos'altro?- é stato proprio quello di promuovere l'azione disciplinare contro chi, dal giugno 2007, indagava sulla persona del Ministro. E costui solo in seguito ha disposto l'azione disciplinare: e dunque la realtà non é quella che qualcuno ci vuole propinare sulla stampa: la notizia che coinvolge il Ministro Mastella e l'ineffabile Romano Prodi, era comparsa sulla stampa fin dal giugno 2006, poiché il Ministro é intercettato sul telefono di Antonio Saladino, il grande mazzettiere di questa storia i cui contorni appaiono sempre più definiti. E dunque l'iscrizione del Ministro nel registro degli indagati , al quale sono seguite le interessate dichiarazioni di solidarietà di Prodi - ( e che doveva fare Prodi, se non solidarizzare, essendo coinvolto nello stesso affare?) non é stata la stizzosa e strumentale reazione all'inizio dell'azione disciplinare da parte del Ministro ma un atto doveroso maturato prima della richiesta di trasferimento con il procedere delle indagini. E si é voluto fare credere il contrario.


Ma chi dovrebbe indagare quando tra i responsabili del reato ipotetico risultino
il Presidente del Consiglio o i Ministri ?


Quanto al problema affrontato con grande obiettività da Franco Cordero su chi deve indagare quando tra i responsabili del reato ipotetico risultino il Presidente del Consiglio o Ministri, essendo i fatti commessi nell'esercizio delle funzioni di governo, la risposta é semplice : la legge costituzionale 16 gennaio 1989 stabilisce che “il procuratore della Repubblica, omessa ogni altra indagine” nei 15 giorni dalla notizia trasmette gli atti al collegio istituito presso il tribunale del Capoluogo del distretto competente: collegio che svolge le funzioni del Pubblico Ministero o del GIP, in questo caso le indagini “Why not” di Roma. Ma il punto di fatto non esaminato da Cordero é proprio questo: i reati sarebbero stati commessi quando Prodi era Ministro, o quando invece era, come sembra accertato, Presidente della Commissione Ministeriale, e Mastella non era ancora Ministro della giustizia per il semplice fatto che non esisteva il governo Prodi?

Stando alle intercettazioni telefoniche sull'apparecchio di Saladino ed alle dichiarazioni del collaboratore, i fatti sarebbero avvenuti fuori dall'esercizio delle funzioni ministeriali; ed allora la competenza sarebbe di De Magistris e non del collegio per i reati ministeriali, cui gli atti sono stati mandati: se fosse stato diversamente, perché Prodi e Mastella non avrebbero eccepito mai l'incompetenza del sostituto De Magistris? Il quale non si é lasciato intimidire neanche dai proiettili inviatigli da inesistenti Brigate Rosse, in sintonia con analoga intimidazione fatta ai danni del giudice Clementina Forleo. Che ha avuto il coraggio di non lasciarsi blandire da promesse di prebende e di non essere intimidita dalle minacce attuate a mezzo telefonate silenziose e proiettili di improbabili brigatisti.


Intanto lo scandalo delle scalate bancarie che sono costate frodi di miliardi di euro a milioni di risparmiatori é stato insabbiato con gioia dei responsabili che restano abbarbicati alle loro poltrone come l'edera che “lecca la scorza dell'olmo tutore” ( Cirano de Bergerac).


Gravi scandali !


In ogni caso, - diciamo la verità- ce ne sarebbe abbastanza per chiedere le dimissioni di Prodi e di un paio di Ministri per i gravissimi scandali che sono già venuti alla luce. Anche se questo ci dovesse costare un ritorno di Berlusconi: poiché se la situazione dovesse restare quella che é - con gli stessi ladroni che ci fanno vergognare di essere di sinistra,- una riscossa del centro sinistra contro Berlusconi diventerebbe ancora più difficile. Ma questo lo sa Walter Veltroni o pensa solo all'ammodernamento e alle riforme della Costituzione?


Una storia dimenticata ...


Queste vicende di De Magistris e Forleo evocano alla mia memoria la drammatica e dimenticata storia di un altro coraggioso magistrato, Giuseppa Geremia, che nel 1996 indagava sullo scandalo della Cirio Bertolli DeRica e sull'alta velocità: scandalo che denunciai inutilmente a Prodi ed alla Commissione antimafia nel 1996 dopo una inchiesta magistrale svolte dalla Criminalpol e dall'Arma dei Carabinieri su mia richiesta. Per quella inchiesta io fui sottoposto ad attacchi concentrici di destra, che chiese la mia rimozione come relatore, e di sinistra, che non mi difese. E fui isolato in Commissione e la mia relazione non venne mai discussa; e guarda caso la legislatura venne interrotta bruscamente dopo due anni senza che ce ne fosse alcuna ragione seria: ciò significa che la fine della legislatura fu dovuta alla volontà di evitare che io denunziassi in commissione antimafia i responsabili istituzionali dei fatti di collusione mafiosa negli appalti. Nei rapporti della criminalpol emerse che sugli appalti per le grandi opere pubbliche avevano indagato Falcone e Borsellino e che questa poteva essere una causa della loro morte. La mia relazione non venne discussa : i vari Violante, Ayala, Bargone mi lasciarono solo e dissero che non c'erano prove di quello che affermavo. E poi venne definitivamente affossata dopo la mia sconfitta decisa dalla camorra dei casalesi interessata ai lavori dell'Alta velocità sulla tratta Napoli-Roma. Le mie residue speranze che giustizia fosse fatta dal PM Giuseppa Geremia andarono deluse. Costei aveva scoperto, dai documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza, che “il garante dell'Alta Velocità, intrisa di imprese di mafia e camorra, era Romano Prodi, mentre Lorenzo Necci, per coinvolgere un poco tutti quelli che contavano, inventò un comitato nodi dell'Alta Velocità composto dalla senatrice Susanna Agnelli, dal prof Carlo Maria Querci dal dott Giuseppe De Rita e dall'architetto Renzo Piano: la spesa preventivata era di 9 miliardi di lire. Ma il collegio dei revisori dei conti fece osservazioni che non ebbero risposte. Il 25 novembre, al termine di una inchiesta serrata fondata anche sulla perizia contabile di ben 13.000 pagine svolta dal prof Renato Castaldo, il PM Geremia, con l'avallo del Procuratore Coiro, chiese il rinvio a giudizio per abuso di ufficio dell'ex Presidente del Giudizio Romano Prodi, quale ex Presidente dell'IRI. Anche allora si tenne conto del momento in cui erano stati ipotizzati i fatti di corruzione e non la qualifica attuale del presidente del Consiglio. ed il rinvio a giudizio di Carlo Saverio Lamiranda, in quanto legale rappresentante della FISVI che aveva acquistato la Cirio senza avere una lira. Ed infatti Lamiranda sarebbe stato in seguito incriminato e condannato per bancarotta e frode comunitaria. Nel frattempo il governo presieduto da Prodi approvò, con l'appoggio del Ministro della Giustizia suo difensore, una nuova legge che modificava in senso restrittivo l'abuso in atti di ufficio; ed il Presidente Prodi venne assolto perché il fatto non sussiste; ma la legge era ad personam. Ma non é finita qui.


Lo scandalo sulla TAV e Nomisma di Prodi.


L'inchiesta sulla Cirio era appena cominciata che la dottoressa Geremia subì - sarà lei stessa a raccontarmelo - insulti telefonici, minacce, chiamate silenziose ed intimidazioni ad opera di ignoti. Esattamente come é accaduto a Luigi De Magistris e a Clementina Forleo. Nel frattempo la Geremia ridà slancio alla inchiesta sull'Alta Velocità con dentro l'affare Nomisma che, secondo i magistrati di La Spezia, era stato insabbiato dal PM Giorgio Castellucci. Le minacce e gli insulti si intensificano: Geremia ha paura, ma non per sé ma per l'anziana madre con cui vive da sola. Gli ignoti vigliacchi intensificano le minacce e gli insulti. Il movente si cela- lei intuisce- in quella inchiesta scottante che toccava santuari intoccabili. La Geremia era ancora più preoccupata perché il suo telefono era noto solo ad alcuni delle istituzioni. Ella decide di denunziare la tortura cui é sottoposta al commissariato di Polizia di Piazzale Clodio. Informa il procuratore della Repubblica Michele Coiro che le dà solidarietà ed avallo. Ma una tempesta si addensa sulla testa di Coiro: il CSM lo accusa di avere rapporti con il giudice Squillante, come se il rapporto istituzionale tra Procuratore Capo e Capo dei giudici delle indagini preliminari fosse vietato dalla legge e non necessario. Sta di fatto che dopo avere raccolto lo sfogo della Geremia, Coiro é costretto a lasciare la Procura di Roma. Da segnalare che Coiro era un esponente di magistratura democratica. E viene relegato alla direzione degli uffici di detenzione e pena. Egli é stato avvertito dal Ministro della Giustizia che se non se ne andrà , sarà sottoposto ad azione disciplinare. Poco dopo Coiro morì di crepacuore. “ La sua morte – mi confidò la Geremia - é stata un duro colpo per me. Mi ha sempre lasciato libertà di azione nella inchiesta sulla Cirio. Non glielo hanno perdonato. Lo hanno costretto a lasciare la Procura di Roma sette mesi prima che andasse in pensione”.

Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, alla udienza preliminare del 15 gennaio 1997 , il Gip Eduardo Landi decide di non decidere. E invia la decisione alla udienza del 28 febbraio 1997. Perché? Semplice! La Geremia, preoccupata dalle minacce che potevano travolgere l'anziana madre sola in casa , decide di chiedere il trasferimento in Sardegna, ma vorrebbe concludere l'inchiesta sulla Cirio: ma non le sarà consentito. La motivazione della sentenza assolutoria di Prodi, anziché essere depositata nel termine di legge del 23 gennaio 1998, giunge sul tavolo della Geremia il 9 febbraio 1998, due giorni dopo che la stessa Geremia era stata trasferita alla Procura Generale di Cagliari. E così ella non aveva potuto presentare impugnazione- così mi disse- contro l'assoluzione di Prodi.


E sullo scandalo calò un silenzio tombale, rotto solo dalla mia denunzia nel libro Corruzione ad Alta Velocità.


La storia si ripete...


Oggi si ripropongono scenari simili, e la giustizia e la verità rischiano un'ennesima sconfitta! O c'é speranza che giustizia sia fatta e che il CSM e la Procura Generale della Cassazione ristabiliscano la legalità violata?




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venerdì 26 ottobre 2007

Lettera aperta al Capo dello Stato

Lettera aperta al Capo dello Stato
di Luigi Ciotti, Alex Zanotelli, Ferdinando Imposimato, Emilio Lupo, Renato Monaco, Marco Rossi Doria
venerdì 12 ottobre 2007

I sottoscritti cittadini della Repubblica Italiana, sentono il dovere di rappresentare profonda preoccupazione per la tenuta dei valori costituzionali di indipendenza e autonomia della Magistratura che recenti iniziative - intraprese dall'attuale Ministro della Giustizia – pongono in concreto pericolo.
Da notizie di stampa si è infatti appreso che il Ministro della Giustizia, all'esito di una attività ispettiva svolta presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, ha ritenuto di formulare – sulla base della recentissima legge di riforma dell'ordinamento giudiziario che gli conferisce tale potere – richiesta di trasferimento immediato ad altra sede e ad altre funzioni del sostituto procuratore della repubblica dott. Luigi De Magistris .
Per ciò che è dato sapere, tale sostituto sta svolgendo da alcuni anni delicatissime attività di indagine in tema di reati contro l'amministrazione della giustizia ed in tema di reati contro la pubblica amministrazione, con accertamenti che hanno coinvolto magistrati del distretto di Potenza, pubblici amministratori, imprenditori, faccendieri, soggetti appartenenti a gruppi politici di diverso orientamento. A fronte di tale ultimo dato – che appare altamente meritorio, specie se correlato alle note e gravi difficoltà operative che si registrano in tutti gli uffici giudiziari del mezzogiorno d'Italia – l'iniziativa ministeriale 'contrappone' delle risultanze che, per espresso dettato normativo, dovrebbero concretizzare 'gravi elementi di fondatezza' di un illecito disciplinare ed unirsi a motivi di 'particolare urgenza' che siano tali da impedire la prosecuzione delle attività in corso da parte del magistrato 'incolpato' .
E' appena il caso di ricordare che la Costituzione Repubblicana del 1948 – nel suo testo ancora vigente – pone a garanzia del legittimo dispiegarsi dell'attività giudiziaria il principio di inamovibilità dei magistrati ( art. 107 Cost.) ed affida al Consiglio Superiore della Magistratura, con le garanzie stabilite dalla legge di ordinamento giudiziario, ogni decisione in proposito.
Troppo semplice sarebbe, infatti, per il potere esecutivo porre nel nulla le attività conoscitive poste in essere anche nei confronti di esponenti politici o di soggetti a questi vicini mediante la 'rimozione' o il 'trasferimento' dell'investigatore scomodo e indipendente. Di questo i Costituenti avevano timore, memori degli attentati in passato subìti dal principio della separazione dei poteri, primo fondamento della democrazia moderna .
Di questo è lecito preoccuparsi anche adesso, visto che con estrema disinvoltura il Ministro della Giustizia ha chiesto l'applicazione di un istituto giuridico come il trasferimento immediato di un magistrato, istituto da poco introdotto nel sistema non senza vive preoccupazioni per i possibili effetti distorsivi sui principi costituzionali, che potrebbero derivare dalla sua applicazione .
A base di una simile richiesta dovrebbero porsi elementi di fatto di tale gravità da poter ribaltare una garanzia costituzionale fondamentale, posta a presidio dello stesso principio di legalità democratica. Dalle notizie di stampa diffuse sul punto non emerge alcuna particolare gravità di tali addebiti, né emergono – in verità – i motivi di 'particolare urgenza' cui la legge fa espresso riferimento.
Vi è invece particolare urgenza di offrire tutela, dignità, apprezzamento a tutti i soggetti che nelle regioni del mezzogiorno d'Italia combattono – con grande sacrificio e gravi rischi personali – l'illegalità diffusa, la criminalità organizzata, la corruzione.
Per questo esprimiamo piena solidarietà al dott. Luigi De Magistris, e ci diciamo convinti del fatto che il Consiglio Superiore della Magistratura valuterà i fatti con serenità, equilibrio e pieno rispetto dei valori costituzionali.
Primi firmatari:
Luigi Ciotti, Alex Zanotelli, Ferdinando Imposimato, Emilio Lupo, Renato Monaco, Marco Rossi Doria

domenica 2 settembre 2007

Cia Gate: David Libby e Karl Rove

Cia Gate: David Libby e Karl Rove


Sul Corsera del 3 luglio 2007, in prima pagina, é apparsa la notizia “David Lewis Libby , condannato a 2 anni e mezzo di reclusione, graziato da George Bush”. Il 14 agosto 2007, LaRepubblica scrive in un articolo di Alberto Flores D'Arcais, “Bush perde il mago delle elezioni; si dimette il guru Karl Rove”. Nel sottotitolo si legge “ molti insinuano che si tratti di una breve ritirata in vista di una candidatura nelle elezioni del 2008”. Solo alla fine dell'articolo si legge “ la sua fama ha avuto un colpo di arresto l'anno scorso , quando distaccato dai suoi compiti nello staff presidenziale per seguire da vicino le elezioni di medio termine , non riuscì ad evitare la sconfitta repubblicana da parte dei democratici di tutte e due le camere del congresso”. E finalmente si legge al termine del pezzo “ Diverse ombre si sono addensate su di lui durante il CIA Gate, quando fu ritenuta una delle gole profonde all'origine della fuga di notizie che fece saltare la copertura dell'agente CIA Valerie Plame”.


Messe così le cose, il lettore non capisce assolutamente nulla di questi due personaggi e del ruolo che essi hanno svolto alla Casa Bianca in questi ultimi anni.


L'unico giornale a riferire qualcosa di vero sulla vita di Karl Rove è stato l'Unità del 14 agosto 2007, che ha scritto “ il primo consigliere politico di George Bush ( Karl Rove), dopo essere scampato due anni fa all'inchiesta sul CIA Gate, si trova adesso sotto inchiesta del congresso americano per lo scandalo dei Procuratori licenziati e per una serie di ingerenze nell'attività di varie agenzie governative”.


Ma anche questo non basta a spiegare cosa é successo.


E dunque abbiamo il dovere di tentare di ristabilire la verità su questa storia intricata, colmando le lacune clamorose della informazione della stampa internazionale e nazionale: e lo facciamo in tutta umiltà ma anche con preoccupazione. Ricordando ciò che scrisse 70 anni fa Albert Einstein: “ I mezzi di comunicazione di massa – la stampa, la radio- ( a quel tempo non esisteva la TV) hanno portato all'asservimento di corpi ed anime ad un'autorità strategica mondiale. E in ciò sta la principale fonte di pericolo per l'umanità. le moderne democrazie, che mascherano regimi tirannici, utilizzano i mezzi di comunicazione come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini per alimentare la paura di massa in funzione delle guerre preventive”.



Ritornando ai due nostri “eroi”, rievochiamo alcuni dei punti salienti di quella storia che va sotto il nome di Cia Gate, la quale riguarda anche l'Italia. Essa ci portò alla guerra all'Iraq, e a centinaia di migliaia di morti civili, tra cui molti bambini e donne, e ad una tensione e ad una diffusione del terrorismo in tutto il mondo.


Cominciamo dal primo: David Lewis Libby, fruendo della grazia di ben due anni e mezzo per un reato contro l'amministrazione della giustizia, non era un signore qualsiasi toccato dalla misericordia di Bush ( cosa mai avvenuta per i molti condannati a morte innocenti, tra cui Rocco Derek Barnabei): era l'ex capo di gabinetto di Dick Cheney, vice presidente degli Stati Uniti e dominus da 17 anni della Casa Bianca: Cheney fu anche ministro della difesa di George Bush senior.


Il secondo, Karl Rove, braccio destro di George Bush jr, e legato alla destra israeliana di Netanyahu, fu lo stratega che non solo gestì la campagna elettorale di Bush ma imbastì il grande inganno che portò alla guerra all'Iraq.


Entrambi costruirono il casus belli che fu il pretesto per scatenare la guerra illegittima ad un paese indipendente, l'Iraq. Questa storia é raccontata minutamente nel libro “la Grande menzogna”, edizione Koiné, 2006. con la prefazione di Clementina Forleo. La tesi di fondo del libro, fondata su documenti , dichiarazioni e testimonianze, atti processuali e risultanze delle inchieste del congresso americano, é semplice: la guerra all'Iraq non fu la risposta giusta ed inevitabile degli Stati Uniti e della Gran Bretagna all'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, dietro cui sarebbe stato il perfido e malvagio Saddam Hussein, reo di volersi procurare armi atomiche per distruggere la candida ed innocente America. La Guerra all'Iraq, scatenata contro la volontà della stragrande maggioranza della opinione pubblica mondiale, del Papa Giovanni Paolo II, delle Nazioni Unite, benché iniziata il 20 marzo 2003, era stata decisa molto tempo prima : gli scopi erano molteplici. la conquista delle risorse petrolifere del Medio Oriente, l'estensione del dominio imperiale degli Stati Uniti e il sostegno all' industria bellica americana, che fattura da sola 450 miliardi di dollari l'anno. La stessa cifra che il comparto bellico raggiunge in tutto il resto del mondo. Ed ha un solo cliente : il Pentagono.


Per giustificare questa guerra ingiusta e suicida, che ancora oggi miete migliaia di vittime innocenti in Iraq ed in tutto il mondo, con effetti sulla pace mondiale non facilmente prevedibili, venne ordito un gigantesco complotto, che vide la partecipazione della CIA, del Mossad , dell'M15 e del Sismi, alcuni giornalisti del Washington Post e del NYT ed i principali collaboratori della Casa Bianca e del Pentagono.


Ma da chi fu ordito precisamente il complotto? Dagli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono con l'appoggio di agenti segreti sparsi per il mondo. Costoro riuscirono a costruire dal nulla per Bush, Cheney e Rumsfeld , e contro la verità, “le prove del legame tra Saddam Hussein e l'11 settembre”; e quelle della fornitura di 500 tonnellate di uranio del Governo del Niger al dittatore iracheno. Il regista occulto dell'intera operazione fu Dick Cheney , padre padrone della Casa Bianca, da quando cioè riuscì a convincere il vecchio Bush a scatenare, nel 1990, la prima guerra del Golfo.


Ma quale fu il ruolo di Lewis Libby e Karl Rove? Esso non si può capire se non si raccontano gli antefatti. Cominciamo col dire che la guerra all'Iraq fu preceduta da due false rivelazioni preparate prima dell'11 settembre 2001. La prima fu che Saddam aveva tentato di importare uranio grezzo dal Niger: nove mesi prima dell'11 settembre, il Joint Intelligence Committee britannico ( comitato di coordinamento dei servizi segreti inglesi) scrisse in un suo rapporto : “fonti non confermate dicono che gli iracheni sono interessati ad acquistare uranio”. La seconda che Saddam Husein aveva legami con i terroristi dell'11 settembre 2001.


Cominciamo dalla prima bugia. Dove nacque questo piano? Certamente in America, tra un gruppo di neocons inseriti nella Casa Bianca e nel Pentagono; di questo gruppo facevano parte Karl Rove, il braccio destro di Bush , David Lewis Libby, il braccio destro di Cheney, e Paul Wolfowitz, l'uomo chiave del pentagono, il collaboratore principale di Rumsfeld, capo del Pentagono.


Il piano, concepito in America, fu sviluppato in Inghilterra ed in Italia, ove fu avallato dal presidente Silvio Berlusconi. Costui nel 2002, nel corso di una seduta al Senato, fece riferimento agli “elementi di prova sul riarmo di Saddam Hussein, di cui il Governo e le intelligence dell'Alleanza Occidentale sono a conoscenza ( una parte di questi é stata resa nota dal primo ministro inglese Tony Blair nel suo intervento ai Comuni)”. (La Grande menzogna di F Imposimato p 61) .


Due bugie, sia pure autorevoli, non fanno una verità, ma una grande menzogna, che evoca la strategia della tensione degli anni sessanta- ottanta in Italia.


Negli Stati Uniti, Rove, definito “il cervello della Casa Bianca”, si procurò documenti falsi sulla fornitura di uranio nigerino all'Iraq, tramite un suo consigliere, il prof .Michael Ledeen, che si autodefinì fascista universale, attivista della destra americana e membro occulto del comitato di crisi che decise la sorte di Aldo Moro. Il documento usato per giustificare la guerra era stato fabbricato ad arte con la notizia di inesistenti armi di distruzione di massa (WMD), documento che Bush e Cheney, e poi Tony Blair e Silvio Berlusconi, usarono per legittimare la guerra all'Iraq.


Ma chi diede questi documenti a Ledeen?


Qui la storia si fa più complicata e coinvolge anche l'Italia. Ledeen, per creare il falso dossier, utilizzò un ex agente del SID, Rocco Martino, che contribuì alla costruzione del gigantesco imbroglio sulla inesistente fornitura di 500 tonnellate di uranio del Niger a Saddam Hussein. A raccontarlo sembra un imbroglio all'amatriciana, per la sua grossolanità , che pure fece breccia in molti giornali di prestigio mondiale.


Accadde che tra il 31 dicembre 2000 e il 1 gennaio 2001- 9 mesi prima dell'11 settembre- si verificò un episodio misterioso nell'ambasciata del Niger a Roma, in via Baiamonte. Detto in poche parole, venne simulato un furto di carta intestata e timbri veri dell'ambasciata del Niger, da usare per la fabbricazione di documenti falsi : il dossier parlava della fornitura dell'uranio del Niger all'Iraq. In realtà un impiegato dell'ambasciata nigerina si sarebbe venduto il materiale cartaceo ad un agente di Sid, Rocco Martino, protagonista di questo stratagemma. Costui, scoperto ed accusato di avere ordito l'inganno, in varie interviste concesse a giornali stranieri, chiamò in causa alcuni non meglio indicati colleghi del Sismi come committenti dell'imbroglio. Per conto di questi Rocco Martino avrebbe agito. Lo scopo- disse Martino- era semplice: il dossier falso doveva essere smistato tra varie ambasciate occidentali senza che apparissero i mandanti italiani , inglesi , israeliani ed americani dell'operazione Niger-uranio.Saddam. Secondo Martino, il dossier era stato preparato dal servizio segreto militare su input del presidente del Consìglio pro tempore , Silvio Berlusconi , per servire i desiderata di Bush e di Blair. Ed adoperando lui per diffonderlo. E lui aveva cercato di strumentalizzare la giornalista di Panorama Elisabetta Berba. La quale aveva verificato con scrupolo la notizia e compreso che si trattava di una menzogna, non scrisse nulla.


Intanto Niccolò Pollari, chiamato in causa, sconfessò Rocco Martino e negò un suo coinvolgimento nelle vicenda davanti al COPACO ( comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti). Che scagionò il generale Pollari all'unanimità. Nel frattempo, la Procura della Repubblica di Roma, che aveva iniziato un procedimento penale, archiviò il caso scagionando Pollari.


Sennonché, dopo l'esplosione della guerra all'Iraq, si scoprì l'imbroglio; e venne alla luce il ruolo degli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono. Si seppe che nel dicembre 2001, probabilmente all'Hotel Parco dei Principi, ( lo stesso che ospitò nel 1966 il summit golpista della destra eversiva), si era tenuto un incontro tra il prof .Ledeen , Harold Rhode , membro dell'Office of Special Plans del Pentagono, il Ministro della Difesa italiano Antonio Martino, e il generale Niccolò Pollari, e tale larry Franlin , funzionario del Pentagono , arrestato dall'FBI quale agente di Israele. La copertura venne data da Dick Cheney, informato della riunione. Il gruppo spolverò il dossier sull'uranio nigerino che giunse alla Casa Bianca. Bush aveva il suo casus belli: la giustificazione formale di una guerra già decisa oltre un anno prima dell'11 settembre.

La conferma della bugia venne dalla Dia, la Defense Intelligence Agency, - che scrisse il 12 febbraio 2002- “Niamed , capitale del Niger, é di accordo di vendere 500 tonnellate di uranio a Baghdad”. La notizia si diffuse anche con l'avallo del governo e dei mass media italiani, la gente ci credette, si spaventò e volle la distruzione di saddam Hussein Qui la storia si fa incandescente. Entrò in campo D Cheney con il suo braccio destro L Libby. Ed entrò in scena anche Karl Rove, uomo di Bush. I due rispolverarono il dossier screditato di Rocco Martino e lo passarono a diversi giornalisti. Abboccò per primo all'amo il giornalista Clayton Hallamark che raccontò il summit di Roma, allegando un pezzo del rapporto costruito dall'intelligence sulle carte intestate rubate presso l'ambasciata del Niger, preparato da dilettanti amici di Ledeen, collaboratore di Karl Rove.


Cheney, letto il rapporto della DIA, incaricò l'ex diplomatico Joseph Wilson di compiere una inchiesta in Niger per accertare se era vera la storia dell'uranio . Wilson andò e scoprì che i documenti del Sismi erano una grossolana falsificazione. E rifiutò di avallarli, come gli era stato chiesto. Apriti cielo! Il povero Wilson pensava di meritare un encomio solenne per avere scoperto l'inganno. Ed invece la cosa non venne presa bene da Cheney e da Bush e dai loro rispettivi collaboratori Karl Rove e David Libby. Costoro scesero in campo ed alimentarono la menzogna attraverso la stampa. Ma Wilson non recedette e cercò di ristabilire la verità: il dossier del Sismi avallato da Cheney e da Bush era falso. Ma mal gliene incolse. Bisognava distruggere la reputazione di J Wilson: e per fare questo Rove, Libby ed il funzionario Larry Franklin, spia del Mossad, ( cui aveva passato dei documenti segreti ), passarono ai più autorevoli giornali americani i dossier falsi per la pubblicazione. Libby li consegnò a Judith Miller, che pubblicò una lunga inchiesta efficace ma piena di bugie.


Quelle bugie furono utilizzate e dilatate da Bush, Blair e Cheney.


Sennonché in questa vicenda torbida si distinse per onestà l' FBY che denunciò Larry Franklin con l'accusa di cospirazione. E denunciò Libby per intralcio alla giustizia. Nel frattempo il 6 luglio 2002 Wilson smentì ancora la Casa Bianca e la versione dell'uranio del Niger all'Iraq dei servizi segreti italiani guidati da Pollari. Ma Rove, Libby e Franklin proseguirono nella loro campagna a base di bugie utilizzando i loro amici giornalisti. Il giornalista Robert Novak, del Washington Post , disinformato da Rove, scrisse che Wilson era stato mandato in Niger non dalla Casa Bianca ma dalla CIA, tramite sua moglie Valerie Plame, agente della Cia: una verità e una menzogna. Era vero che la Plame era agente della CIA, ma era falso che Wilson fosse stato mandato in Niger dalla CIA. Analoga notizia falsa era stata diffusa da Judith Miller su imbeccata di David Libby. La Miller, poi arrestata, aveva mentito consapevolmente su istigazione di Libby, dietro il quale c'era Dick Cheney. A pagare sul piano penale furono solo Larry Franklin e David Libby, incriminati e processati. Si salvò ingiustamente Karl Rove, che fu costretto a dare le dimissioni, ma non fu incriminato. Sottoposto a martellanti domande di una stampa che aveva compreso l'imbroglio, scomparve per qualche tempo facendo perdere le sue tracce. Poi rientrò a fianco di Bush, dopo avere fatto trasferire i magistrati federali! Altro che “due process of Law” americano. Negli Stati Uniti c'é stata in questa vicenda una totale subalternità del Pubblico Ministero all'esecutivo, ed una dura sconfitta della giustizia. I padrini politici di Libby e Rove dovettero proteggere i loro assistiti: Bush , un santo che non aveva mai fatto miracoli , concesse la grazia a Libby, nel frattempo condannato a due anni e mezzo di carcere. Il solo Rove andò indenne, nonostante il Procuratore Robert Patrick Fitzgerald avesse accertato che alla Casa Bianca, per punire Wilson, i due collaboratori principali di Bush e Cheney avevano rivelato la vera identità e la professione di Valerie Plame; e avevano fatto credere che la versione di Wilson era inquinata dai servizi segreti, cosa non vera.


La sola cosa certa é che Libby e Rove non agirono in proprio ma come esecutori degli ordini del Presidente Bush e del vice Cheney. Si spiega solo in questo modo la generosità di Bush nella concessione della grazia a Libby e l'uscita di scena soft di Rove.


E così gli strateghi della guerra preventiva non sono stati puniti per la serie di menzogne sull'Iraq e forse si preparano a ritornare a galla per le prossime elezioni politiche e a preparare le condizioni di una nuova guerra preventiva.


Ferdinando Imposimato

01 Settembre 2007



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sabato 14 luglio 2007

Il sismi gate: il caso Pollari

Il sismi gate: il caso Pollari

Il sismi gate ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali per molti giorni. L'impressione che si ricava dalle dichiarazioni dei leader di maggioranza e di opposizione é che si cerchi di insabbiarlo, non essendo interesse di nessuno dei due poli di conoscere la verità. Quale é l'essenza di questa storia? Semplice. Il Sismi, servizio segreto militare italiano, é sospettato di avere indagato e schedato abusivamente su magistrati e giornalisti, tra cui anche quelli che dirigono e scrivono sulla Voce della Campania accusata di essere “collegata al fondamentalismo islamico” ( Corriere della Sera dell'8 luglio 2007): si tratta di due categorie di persone che per mestiere sono impegnate nella ricerca della verità al servizio dei cittadini. La schedatura da parte di una sede distaccata del Sismi di Niccolò Pollari di 250 magistrati di 13 paesi rappresenta un vulnus grave alla magistratura ed alla sua indipendenza: un modo per condizionarne l'azione e la tutela della legalità secondo il principio fondamentale che “la legge é uguale per tutti”, anche per i politici che governano. Secondo notizie giunte al Consiglio Superiore della Magistratura, le schedature sarebbero avvenute ad opera di Pio Pompa, uomo del Sismi, per ordine dei servizi.

La Procura ha chiesto ai servizi segreti se le informazioni raccolte illecitamente dall'Ufficio distaccato di via Nazionale, trasmesse a Niccolò Pollari, ex capo del Sismi, siano state effettivamente ricevute e catalogate. La risposta finora é mancata: il che accresce il dubbio che il Sismi fosse d'accordo sulla operazione di Pio Pompa. Intanto da un appunto del 2002 sequestrato dai pubblici Ministeri di Roma é certo che “molti dati raccolti sui giudici provenivano da ambiti qualificati di elevata affidabilità che anticipavano iniziative mediatico giudiziarie in danno del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”. Negli atti si parla di “una struttura anti Berlusconi – da disarticolare - composta da magistrati e politici”. Il principale sospettato di questa operazione é il generale Niccolò Pollari, ex capo del Sismi, che ha negato ogni responsabilità; finora egli ha sempre goduto della fiducia e della protezione non solo di Berlusconi ma anche di Massimo D'Alema, persino dopo gli attacchi a ripetizione di “La Repubblica” al generale Pollari sulla manipolazione del dossier Niger- Iraq uranio gate, contenente la falsa notizia dell'acquisto da parte di Saddam Hussein delle armi di distruzione di massa dal Niger. Dal quale scaturì la guerra all'Iraq.

Uguale fiducia viene a Pollari anche da Romano Prodi se é vero che il generale Pollari ricopre l'incarico – ma sui giornali se ne parla poco- di “consigliere speciale del Presidente del Consiglio”. Vale la pena ricordare che il Governo Prodi, di cui D'Alema e Rutelli sono autorevoli esponenti, andando oltre le decisioni del Governo Berlusconi, ha imposto illegittimamente il segreto di Stato1 e bloccato i giudici di Milano che indagano sul ruolo di Pollari e del Sismi nella vicenda del sequestro di Abu Omar. Sembra emergere evidente un venire a patti tra i vecchi ed i nuovi governanti ed il generale Pollari, probabilmente in possesso di verità scottanti che riguardano la maggioranza e l'opposizione. Sicché appare una mera finzione la proposta di istituire una Commissione di inchiesta parlamentare sulla vicenda delle schedature illecite; la inchiesta parlamentare, come dice Emanuele Macaluso, non ha mai prodotto risultati utili all'accertamento della verità ed ancora una volta non approderebbe a nulla; anzi intralcerebbe le indagini dei giudici, come é sempre avvenuto con tutte le inchieste parlamentari, le ultime delle quali riguardano Telekom Serbia e il dossier Mitrokhin. induce ad una speranza di verità e di giustizia l'eventuale inchiesta del Copaco (comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti), che ha scagionato Pollari da tutte le accuse che riguardavano la creazione di un falso dossier sull'acquisto dell'Uranio da parte dell'Iraq, che fu alla base della decisione degli Stati Uniti di scatenare una illegittima guerra sanguinosa contro l'Iraq. Oggi l'indagine é stata affidata al Copaco: non si vuole la verità che il generale Pollari si é dichiarato pronto a rivelare. Oltre tutto il Copaco ha l'obbligo della segretezza sulla propria attività: i cittadini non potranno mai sapere ciò che il generale Pollari dichiarerà al Copaco. Il Copaco non funziona e non ha poteri di indagine penetranti.

Una cosa sembra certa: nulla é cambiato dai tempi del Sifar di De Lorenzo. Con la riforma del 1977, che istituì il Sismi ed il Sisde, i primi atti del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e del Ministro dell'Interno Francesco Cossiga furono la nomina ai vertici dei servizi segreti di Giuseppe Santovito e Giulio Grassini , due generali affiliati alla Loggia di Licio Gelli, uomo della CIA legato a Totò Riina, il capo di Cosa Nostra. Sono stati diversi mafiosi a rivelare questo collegamento tra Gelli e Riina. I legami di Gelli con la Cia sono documentati dalle inchieste della commissione P2 e dalle indagini della magistratura.

I servizi segreti di quel tempo non persero tempo: strinsero patti scellerati con Pippo Calò e la banda della Magliana, contro la quale, senza rendermene conto, fin dal 1975 avevo cominciato ad indagare assieme a Vittorio Occorsio: con questi istruivo alcuni processi per sequestri di persona, tra cui quelli di Ortolani, figlio di uno dei capi della P2, di Gianni Bulgari e di Angelina Ziaco; sequestri che vedevano coinvolti esponenti della Magliana e della Loggia Propaganda 2, tra cui un noto avvocato penalista, che poi venne stranamente assolto dopo che Occorsio aveva espresso parere contrario alla sua scarcerazione. Di quella banda facevano parte uomini come Danilo Abbruciati, legati alla loggia di Gelli, alla mafia ed ai servizi segreti. Occorsio, che aveva scoperto l'intreccio stragi – eversione nera e massoneria indagando da anni sulla strage di Piazza Fontana-, venne assassinato l'11 luglio 1976. Per l'attentato venne condannato Pier Luigi Concutelli, che risultò iscritto alla loggia Camea di Palermo, perquisita da Giovanni Falcone. La mia condanna a morte fu pronunciata dalla stessa associazione qualche tempo dopo. A raccontarlo fu il mafioso Antonio Mancini; costui disse al giudice Lupacchini che verso la fine del 1979 o i primi del 1980, avendo fruito di una licenza dalla Casa di lavoro di Soriano del Cimino, non era rientrato nella casa di lavoro; in occasione di un incontro conviviale in un ristorante di Trastevere, l'Antica Pesa o Checco il carrettiere, cui partecipò assieme a Danilo Abbruciati, a Edoardo Toscano, i fratelli Pellegrinetti, Maurizio Andreucci e Claudio Vannicola, mentre si discuteva del controllo del territorio del Tufello per il traffico di stupefacenti, si parlò di un attentato alla vita del giudice Ferdinando Imposimato. “Dal discorso si capiva che non si trattava di un'idea estemporanea: era evidente, cioé, che erano stati effettuati dei pedinamenti nei confronti del magistrato e della moglie; che erano stati verificati i luoghi nei quali l'attentato non avrebbe potuto essere eseguito con successo; si era stabilito che comunque non si trattava di un obiettivo impossibile, per carenze della sua difesa nella fase degli spostamenti in auto: il luogo dove l'attentato poteva essere realizzato era in prossimità del carcere di Rebibbia dove la strada di accesso all'istituto si restringeva e non vi erano presidi militari di alcun genere”.

Quando sentimmo il discorso che si fece a tavola, io e Toscano pensammo che l'attentato dovesse essere una sorta di vendetta per l'impegno profuso dal magistrato nei processi per sequestri di persona da lui istruiti e che avevano visto coinvolti i commensali, i quali parlavano del giudice Imposimato definendolo “quel cornuto che ci ha portato al processo” . “Successivamente, - disse Antonio Mancini - parlando dell'attentato ai danni del giudice Imposimato-, Danilo Abbruciati mi spiegò che, al di là delle ragioni personali che pure aveva, aveva ricevuto una richiesta in tal senso “da personaggi legati alla massoneria”, dei quali il giudice Imposimato aveva toccato gli interessi”. (dichiarazione di Antonio Mancini; ordinanza di rinvio a giudizio n 1154/87A GI del 13 agosto 1994 contro Abatino Maurizio p 230)

In seguito, durante le indagini per l'omicidio di Mino Pecorelli, il procuratore della Repubblica di Perugia accertò che alla riunione nel corso della quale si parlò dell'attentato a me, parteciparono anche due uomini dei servizi segreti militari italiani che furono incriminati e rinviati a giudizio per favoreggiamento; il processo era a carico di Giulio Andreotti per l'omicidio Pecorelli. Senonché i due funzionari dei servizi mi avvicinarono dicendomi che “loro due non c'entravano niente con quella riunione” e che “evidentemente c'era stato uno scambio di persone da parte di Mancini, altri due uomini del servizio erano coloro che avevano preso parte a quell'incontro in cui venne annunciata la mia condanna a morte”.

Ma nessuno si preoccupò di stabilire chi dei servizi aveva partecipato al summit in cui era stato annunciato l'assassinio del giudice che in quel momento si stava occupando del caso Moro in cui la presenza della massoneria e della mafia erano state determinanti della uccisione di Moro.

In quel periodo, io mi occupavo non solo di sequestri di persona , ma anche del falso sequestro di Michele Sindona, anche lui uomo della P2, e dell'assassinio di Vittorio Bachelet, del giudice Girolamo Tartaglione, del giudice Riccordo Palma e , naturalmente, del sequestro Moro; ed avrei accertato , dopo anni, che della gestione del sequestro Moro si erano occupati, nei 55 giorni della prigionia, i vertici dei servizi segreti che erano affiliati alla P2 e legati alla banda della Magliana: ma tutto questo io all'epoca non lo sapevo. Ciò che é certo é che Giuseppe Santovito, uomo della P2, era nelle mani di uomini della Magliana, articolazione della mafia a Roma. E dunque il racconto di Mancini era verosimile .

Era dunque evidente che i servizi segreti democratici (sisde) e militari (sismi) erano tutt'uno con la mafia della quale si servivano per compiere operazioni sporche di ogni genere, compresa quella del Lago della Duchessa, eseguita per provocare una reazione contro Moro. In quel tempo ero diventato un pericolo pubblico per Cosa Nostra e la Massoneria ma confesso che lo ignoravo.

Quando, durante le indagini che io a Roma, Falcone a Palermo, Turone e Colombo a Milano, venne fuori a Castiglion Fibocchi, in possesso di Gelli, l'elenco degli iscritti alla P2 che comprendeva i capi dei servizi segreti italiani e del CESIS, l'organismo che coordinava i servizi, venne decisa la epurazione degli uomini di Gelli; ma non fu così. La Loggia del venerabile maestro mantenne il controllo sui servizi segreti, come ebbe modo di scrivere la Commissione parlamentare sulla P2; e le deviazioni continuarono con la complicità dei vari governi che si susseguirono. La corruzione dei politici con versamenti di ingenti somme di denaro da parte dei vari capi dei servizi segreti, le intercettazioni abusive su avversari politici, giornalisti e magistrati, i ricatti fondati su notizie personali sono stati una costante della vita dei servizi segreti, senza che mai i responsabili abbiano pagato per le loro colpe, in virtù della protezione da parte dei governanti. E così siamo arrivati al caso Pollari con l'ennesima sceneggiata dell'inchiesta del Copaco che non approderà a nulla. E intralcerà l'azione dei giudici. La sola soluzione é un ricambio totale della classe politica con l'innesto delle giovani generazioni, se si vuole salvare l'Italia dalla bancarotta e dall'avvento di un nuovo fascismo.


Ferdinando Imposimato

14 Luglio 2007



Dopo queste brevi note, é esplosa sulla stampa, per pochi giorni la storia legata alla morte di Paolo Borsellino, subito silenziata dai mass media. La magistratura di Caltanissetta ha riaperto un vecchio processo che collega la tragica morte di Paolo Borsellino e della sua scorta a moventi inconfessabili legati a menti raffinate delle stesse istituzioni. L'ipotesi investigativa prospetta la possibilità che Borsellino sia rimasto schiacciato nell'ingranaggio micidiale messo in moto da Cosa Nostra e da una parte dello Stato in contatto con la mafia allo scopo di trattare la fine della violenta stagione stragista in cambio di concessioni ai mafiosi responsabili di crimini nefandi, tra cui la strage di Capaci. Si trattava di una autentica vergogna , un'offesa a Giovanni Falcone ed ai cinque poliziotti coraggiosi morti per proteggerlo. Salvatore Borsellino dice che le prove di questa ricostruzione erano nell'agenda rossa sparita di Paolo Borsellino. Si ritiene che Paolo, informato di questa infame proposta, abbia reagito con sdegno e rabbia: ma egli sapeva che lo Stato voleva scendere a patti con gli assassini. Di qui la decisione di accelerare la sua fine.

Ricordo che in quel tragico luglio del 1992 ero alla Camera dei deputati dove le forze contigue alla mafia erano ancora prevalenti e rifiutavano di approvare la legge voluta da Falcone , da me e da molti altri magistrati antimafia: l'approvazione dell'articolo 41 bis sull'isolamento rigoroso dei mafiosi in carcere per evitare che questi continuassero a dettare legge dall'interno del carcere ordinando omicidi e stragi. Quella legge, nonostante la morte di Falcone, non aveva la maggioranza. Fu necessaria la morte di Borsellino per il varo di quella legge, che oggi si vorrebbe abrogare.

L'aspetto più inquietante riguarda il ruolo di un ufficio situato a Palermo nei locali del Castello Utveggio a Monte Pellegrino riconducibile ad attività sotto copertura del servizio segreto civile, il SISDE, entrato prepotentemente nelle indagini per la stage di via D'Amelio, dopo la rivelazione della sua esistenza avvenuta durante il processo di Caltanissetta ad opera del tecnico Gioacchino Genchi. Al numero di quell'ufficio dei servizi giunse la telefonata partita dal cellulare di Gaetano Scotto, uno degli esecutori materiali della strage di via' D'Amelio. Mi pare ce ne sia abbastanza per ritenere un coinvolgimento di apparati dello Stato nella strage di via D'Amelio . Il dubbio é che uomini politici al potere abbiano fatto un uso deviato di quegli apparati: e non che si tratti di semplici servizi deviati.


Ferdinando Imposimato

25 Luglio 2007



1Segreto di stato: La legge 24/10/1977 n.801 ha introdotto la categoria unitaria del segreto di Stato. Sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione possa recare danno alla integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri stati, alla sua difesa militare. In nessun caso possono però essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale. Nella realtà il segreto di stato viene eccepito per fini diversi da quelli previsti dalla legge, per coprire nefandezze di ogni genere.

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sabato 30 giugno 2007

Il nuovo attacco alla Costituzione

Il nuovo attacco alla Costituzione

Ci era stato detto da Romano Prodi, prima delle ultime elezioni politiche, che ormai sarebbe finita l'epoca della corruzione, del precariato, delle riforme eversive della Costituzione, dei conflitti di interesse irrisolti, della legge elettorale vergogna, delle guerre preventive, del precariato dei lavoratori, delle disuguaglianze sociali, dell'aumento del debito pubblico. E che la vittoria sulla CDL sarebbe stata l'inizio di una svolta politica ed istituzionale. E invece non è accaduto niente di tutto questo. Mentre si stanno preparando riforme sottobanco che intaccano la Costituzione ed i diritti sociali primari.

Dopo il referendum costituzionale, lo spettro di uno stravolgimento della seconda parte della Costituzione che intacchi i diritti inviolabili contenuti nella prima parte (lavoro, salute, casa, istruzione, libertà, ecc.) si ripropone in modo ancora più drammatico e serio che in passato nella indifferenza generale. Le riforme della legge elettorale e della Costituzione infatti vedono un accordo tra esponenti del neonato Partito Democratico e l'opposizione. Lo ha percepito subito il comitato per la difesa della Costituzione presieduto da Oscar Luigi Scalfaro che assieme a Massimo Rendina, presidente dell'Anpi nel Lazio, é andato dal Ministro delle riforme Vannino Chiti a chiedere conto delle proposte contenute in una misteriosa bozza di legge elettorale e di riforma costituzionale che dovrebbe essere presentata dal Governo. La preoccupazione é fondata. In buona sostanza si propone dal Ministro delle Riforme una legge elettorale che contiene gli stessi difetti della legge Calderoli vigente definita Porcellum. Ed intacca la Costituzione.

Converrà rinfrescarci la memoria per capire la gravità dello scandalo. Con la scusa che si vuole realizzare un risparmio al Paese, si ripropone una legge elettorale senza il voto di preferenza sulla persona all’interno del partito: i partiti ripresenteranno un elenco di nomi ciascuno con il suo numero in ordine progressivo. Se si presenteranno dei corrotti o avventurieri nelle prime posizioni delle liste, essi saranno sicuramente eletti poiché la volontà degli elettori é pari a zero. Ma non é tutto. Tre o quattro capilista potranno ancora candidarsi in molti collegi, in ogni parte del territorio nazionale, optando per quei collegi che consentiranno la eliminazione di avversari interni scomodi e non subalterni. Come é accaduto puntualmente alle ultime elezioni. La scelta dei rappresentanti del popolo avverrà prima delle elezioni ad opera di alcuni oligarchi che prepareranno le liste bloccate mentre il corpo elettorale dovrà solo ratificare ciò che é stato deciso nei partiti. Continuerà il monopolio dei dirigenti dei partiti sugli eletti. Immarcescibili burocrati decideranno quale dovrà essere la composizione del parlamento: gli eletti saranno al loro servizio senza rappresentare gli interessi dei cittadini, pena la non ricandidatura. La campagna elettorale si giocherà sul simbolo dei partiti non sulla qualità dei candidati. La democrazia si risolverà nell'arbitrio dei soliti noti che sceglieranno amici , parenti e amanti : come é avvenuto nelle ultime elezioni in entrambi gli schieramenti. Il risultato sarà ancora una volta che almeno la metà dei parlamentari verrà cooptata dall'alto.

Roberto Calderoli della Lega, in una intervista alla Padania del 13 aprile 2007, ha detto che la bozza Chiti “coincide sostanzialmente al 99% con la proposta di legge presentata dalla Lega al Senato” con l'avallo del Capo dell'opposizione Silvio Berlusconi.

La proposta Chiti contiene il federalismo fiscale e prevede di fatto una elezione diretta del Presidente del Consiglio, cui verrano attribuiti maggiori poteri a scapito del Presidente della Repubblica e del parlamento. Il Presidente del Consiglio verrà scelto dagli elettori; il capo dello Stato si limiterà a prenderne atto. Dulcis in fundo: si mutuerebbe dal tatarellum il divieto di ribaltone: se il presidente del Consiglio cade, si deve rivotare. Tutto quello che era stato cancellato dal referendum viene riproposto. Tutto ciò avverrebbe in violazione del referendum costituzionale.

La riforma elettorale e quella costituzionale non incidono solo sulla organizzazione politica dello Stato ma anche sui diritti inviolabili dell’uomo e sui principi di unità e collaborazione tra gli Stati. E’ bene ricordare che secondo la Costituzione la libertà non ha senso e non si materializza se non ha la base in un patto condiviso, a partire dal quale vi sono l’orgoglio dell’appartenenza a un grande paese unito. Ora quel patrimonio rischia di essere intaccato contro la volontà della stragrande maggioranza degli italiani .

La previsione di Aldo Moro rischia di avverarsi. Moro, con intuizione profetica, nell’aprile del 1948, denunciò il pericolo “ abbastanza grave, che gruppi o individui, modificando la seconda parte della Costituzione, fossero indotti ad avversare anche i principi consacrati nella prima parte inerenti alla natura ed alla dignità della persona umana, principi che – egli ammonì - non dovrebbero mai essere oggetto di revisione costituzionale perché alterarli significherebbe condannarsi al ridicolo, al disordine, alla tragedia”. “E perciò é necessario che tutti gli uomini di buona volontà siano concordi nella difesa di quei principi fondamentalmente umani e cerchino di trascriverli, prima che sulla carta, sulla viva pagina dei cuori”. ( A.Moro, scritti e discorsi 1940- 1947 e cinque lune).

Il vulnus maggiore della Carta fondamentale sarebbe una forma surrettizia di presidenzialismo attraverso un premierato che realizza nel presidente del consiglio una concentrazione di poteri assai superiore a quella di cui dispongono i capi di Stato e di governo dei paesi democratici, a cominciare da G. Bush e dal primo ministro inglese. In un incontro che ebbi con il professor Francesco De Martino poco prima della sua morte, egli mi disse che qualunque forma di presidenzialismo o semipresidenzialismo, in Italia, rischia di essere il preludio di un regime autoritario. In realtà la riforma introdurrebbe una forma di premierato assoluto in analogia con i poteri che un tempo erano propri del monarca. Il premier può nominare e revocare i Ministri e sciogliere il Parlamento. Mentre non risolve le questioni del sistema mediatico ed il conflitto di interessi.

Il federalismo non realizzerebbe un miglior governo del Paese, ma proteggerebbe gli interessi particolari della Lega contro quelli dei cittadini delle altre regioni d’Italia e d’Europa e contro gli stranieri in genere. In conclusione, la riforma sarebbe un vero e proprio mostro fondato sulla logica perversa dello scambio tra i principi costituzionali e la sopravvivenza della maggioranza. Ma laddove la Costituzione è violata, la democrazia è in pericolo. In questa situazione il Parlamento si troverebbe in una situazione di straordinaria debolezza.

La nostra Costituzione, accusata di vetustà e arretratezza, non è vecchia ed obsoleta. Essa è viva ed attuale più che mai. E’ e resta una Costituzione democratica anche a 60 anni dalla sua nascita. E deve essere attuata, soprattutto nella parte che riguarda il lavoro e la sua dignità ed il conflitto di interessi. Essa contiene i principi fondamentali di garanzia, tra i quali l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’indipendenza della magistratura, la tutela dell’istruzione pubblica, l’informazione libera, la separazione dei poteri e la centralità del Parlamento. Principi che garantiscono condizioni di armonia e di solidarietà tra unità e pluralismo territoriale. E richiede subito una legge sul conflitto di interessi : che è la situazione apparentemente “legale” in cui si trova un governante, un amministratore, un banchiere, un politico o un giudice, che anziché fare l’interesse pubblico nella sua attività istituzionale, cura il suo interesse privato o quello di amici e prestanomi. Esso viola l’art.97 della Costituzione che impone alla PA di agire rispettando i principi del buon andamento e della imparzialità. E l'art.51 che prevede per tutti i cittadini una condizione di parità nella competizione elettorale. Il conflitto di interessi dilagante é fonte di corruzione e criminalità e di una gestione dissennata delle risorse pubbliche. Il conflitto di interessi è il principale strumento di corruzione diffuso in Italia. Un cancro che affligge le nostre istituzioni da decenni. E si aggrava nonostante le denunzie e le accuse che fioccano per gli scandali ricorrenti. Che interessano varie categorie di persone: governanti, amministratori, governatori, banchieri, imprenditori, consulenti, soggetti nei quali spesso si uniscono le funzioni di controllori e controllati. Con il permesso o nell’assenza della legge. Ci attendiamo che la Costituzione sia attuata e che la legge sul conflitto sia varata al più presto: prima che sia troppo tardi.

Ferdinando Imposimato

Roma, 25 aprile 2007

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lunedì 9 aprile 2007

La democrazia e i partiti.


I partiti sono essenziali.

Sarebbe possibile una democrazia dove i leader con il loro carisma si sostituiscono ai partiti?


La risposta non può che essere: no !


Un altro problema relativo ai partiti è la carenza di programmi e progetti politici, per cui i partiti non si distinguono fra di loro in maniera chiara.


In Italia la cosiddetta “democrazia” non è altro che un sistema di partiti, i quali non propongono un quadro di riferimento programmatico e di opzioni, e quindi gli elettori si esprimono a vuoto e la politica produce il vuoto.


Dice Kelsen1Solo l'illusione o l'ipocrisia può credere che la democrazia sia possibile senza partiti politici”. Ovvero i partiti sono necessari, ma se i partiti non funzionano come dovrebbero, la spiegazione risiede nel fatto che in Italia i partiti, benché ridotti ai minimi termini, sono centri di potere con correnti e gruppi che non sono espressione di ideali politici e di pensiero, ma portatori di interessi dei burocrati, di lobbies e di capitalisti pubblici e privati.

Da questi attingono finanziamenti e sostegni nelle competizioni elettorali. La campagna elettorale di alcuni leader, costata decine di miliardi senza che nessuno li ostacoli, non può essere finanziata da società e gruppi finanziari esterni ai partiti, al di fuori di qualsiasi controllo.

Poche famiglie di industriali e finanzieri detengono il potere economico e controllano in modo diretto o indiretto le principali fonti di informazione attraverso le quali canalizzano il consenso delle masse. Il conflitto di interessi dilaga e inquina i partiti.


I partiti hanno perso la loro centralità (ovvero non sono più credibili e i cittadini sono scettici) e sono privi di capacità di selezione e formazione del personale politico.


La degenerazione dei partiti ha comportato l'esplosione di fenomeni di personalismo con l'irruzione sulla scena politica di soggetti ad alto reddito personale, capaci di condizionare pesantemente lo sviluppo della vita democratica.

Ma questo grazie alle carenze di una politica asfittica e troppo spesso consociativa2.


E' bene dire le cose come stanno: i conflitti di interesse che investono diverse persone e settori, il sistema degli appalti a trattativa privata, la moralizzazione dei partiti non sono risolti perché non si vuole risolverli, e non per una semplice distrazione. Così come appare ridicolo erigere barricate e gridare contro il sistema delle concessioni nelle grandi opere pubbliche, che sono state inventate dalla Democrazia Cristiana (1942-1994) ma tenute in vita dai vari Governi di centro destra e di centro sinistra.


La degenerazione dei partiti è stata possibile grazie all'assenza di regole e controlli sul loro funzionamento. La vita dei partiti si è così spenta fino ad isterilirsi. Intanto è riesploso il fenomeno dei falsi tesserati e dell'aumento del numero degli iscritti in fasi delicate come il rinnovo di cariche interne, fenomeno che non ha riguardato solo Forza Italia (destra) ma anche i DS (sinistra) nella battaglia politica tra le varie correnti. Il fenomeno del tesseramento selvaggio, che aveva caratterizzato in tempo la Democrazia Cristiana dei Gava, sarebbe stato impensabile ai tempi di Enrico Berlinguer ed Alessandro Natta, per i quali anche nella competizione politica più aspra esisteva un argine morale non superabile.

Quale è la ragione di tutto questo? I pacchetti di tessere servono a mantenere e a consolidare l'influenza interna delle nomenclature immarcescibili e dei gruppi organizzati e a regolare i rapporti nella spartizione del potere nelle opere pubbliche, nella RAI, nella scelta dei candidati al parlamento e dei vertici dei grandi enti pubblici privatizzati.


Ma il problema non è più solo dei programmi che non esistono. E' degli uomini che non rappresentano più gli interessi e i valori. Nessuno ha interesse a bloccare un processo che coinvolge un po' tutti. Il ricorso alla riforma degli Statuti per moralizzare la vita dei partiti non inganna più nessuno. L'idea portante è quella di creare un partito aperto e garantista. Tra le novità assolute c'è quella dell'anagrafe degli iscritti, che deve servire a contrastare il fenomeno del falso tesseramento. Altra novità di rilievo sono le sanzioni disciplinari, la valorizzazione delle donne e la previsione della procedura di sostituzione del segretario generale del partito in caso di dimissioni o di impedimento. Nulla di fatto accade per l'anagrafe degli iscritti. Anche l'impegno di portare le donne al 40% negli incarichi di direzione nel partito si è disciolto come neve al sole.


Cosa fare? Rassegnarsi a questo stato di cose?


La strada da percorrere non è quella delle fondazioni, che pure sono utili e stimolanti, ma la gestione democratica e trasparente dei partiti, con regole sul loro funzionamento.

Che non siano affidate a Statuti interni, inesistenti o violati. A ben riflettere, la crisi dei partiti è stata voluta da coloro che costituiscono la loro leadership. E vediamo perché. Sul piano giuridico i partiti, pur essendo previsti dalla Costituzione (art.49) come soggetti politici essenziali alla democrazia, sono semplici associazioni di fatto non riconosciute (sic) – sembra incredibile ma è così – disciplinate dagli articoli 36 e seguenti del codice civile. Come tali esse non sono soggetti ad alcun controllo né di rango Costituzionale, né di altro genere. La ragione di tutto questo è nella insufficienza della legislazione costituzionale e nella mancanza di una legge ordinaria in grado di fissare delle regole sulla democrazia interna, sull'accesso ai partiti e sulla tutela degli iscritti. Ma non solo su questo. Essendo divenuti centri di potere, ad essi si accede di regola solo con un processo di cooptazione, quasi sempre dall'alto. E questo urta contro il diritto di qualunque cittadino che professi le stesse idee a iscriversi per esercitare un proprio diritto pubblico analogo al diritti di voto. La Costituzione prevede il diritto dei cittadini di associarsi nei partiti per concorrere con metodo democratico a formare la politica nazionale. Ma a parte ciò,è evidente che i partiti, pure rappresentando interessi necessariamente particolare della realtà sociale, svolgono una funzione pubblica che non può essere abbandonata a sé stessa, come è adesso. Sicché quando i partiti sono, come oggi, senza statuto pubblico, si lascia scoperto uno dei settori più delicati della vita politica e si lasciano senza garanzia i cittadini. Una situazione del genere può andare bene quando i partiti sono semplici macchine elettorali, che entrano in catalessi una volta terminata la battaglia delle elezioni. Oggi che essi sono organi permanenti e capaci di incidere costantemente sulle scelte politiche del Governo e sulla politica sociale, una battaglia al loro interno può avere conseguenze sulla direzione della cosa pubblica, e dunque sui cittadini, anche su quelli che non militano nel partito in questione. Da qui la conseguenza che non è più tollerabile la gestione autoritaria e arbitraria dei partiti da parte della leadership, non solo nell'area della maggioranza ma anche in quella della opposizione.


Ma qual' è la situazione dei partiti in altri paesi di avanzata democrazia?


Sicuramente meno drammatica che in Italia.

Tratto comune ai partiti operanti negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito e in Germania è stato il progressivo affermarsi di un modello nuovo di partito, sintesi dei due modelli definiti da Maurice Duverger del partito dei “notabili” e di “quadri” e del partito di massa. Si tratta di una forma partito – definita “catch all party” da O.Kirkeiner in “The transformation of the European Party System”, che privilegia il momento elettorale, proprio perché il potere dei leader è fondato sul successo elettorale. Chi vince guida il partito, chi perde se ne va a casa. La tattica politica e la scelta dei canditati sono condizionate dall'opinione dell'elettorato, al quale, prima ancora che ai militanti, i leader si rivolgono. E' l'esatto contrario di ciò che avviene in Italia in cui le sconfitte elettorali, azinchè segnare la fine politica dei leader, ne vedono accrescere il potere e l'arroganza che tavolta superano la protervia degli stessi vincitori, come ha acutamente osservato Emanuele Macaluso.


In molte costituzioni europee i partiti hanno ottenuto un riconoscimento formale: è il caso dell'Italia, ma anche della Germania (art.21), della Francia della V Repubblica e della Spagna.

Ma l'anomalia italiana è l'unica nell'avere lasciato i partiti a livello di associazioni di fatto prive di controlli. Questo ha significato assenza assoluta di regole e quindi arbitri che si risolvono nella fine della democrazia.

E' utile ricordare che la Costituzione tedesca dichiara espressamente l'incostituzionalità dei partiti che “per i loro fini o per il comportamento dei loro aderenti, mirano ad intaccare o a rovesciare il libero ordinamento democratico”. Il Bundestag (parlamento tedesco), nel gennaio 1994, approvò la legge di riforma della legge sui partiti, sulla sua struttura nonché sul funzionamento.

L'art.10 di quella legge prevede che lo Statuto dei partiti deve contenere indicazioni riguardanti:

  1. l'ammissione degli iscritti

  2. le misure disciplinari previste nei confronti degli iscritti

  3. i motivi che legittimano le misure disciplinari

  4. gli organi abilitati ad erogarle


Di notevole interesse è il fatto che l'art.21 della Costituzione tedesca che disciplina i partiti è stato considerato rilevante non solo quanto alla incostituzionalità dei partiti antidemocratici, ma anche con riferimento al funzionamento della democrazia interna.


In Italia, ove nei partiti la democrazia interna è sistematicamente violata, la mancanza di un riferimento costituzionale espresso e di una legge ordinaria adeguata, rende i burocrati dei partiti praticamente inattaccabili e immutabili. Un autentico vulnus che ha impedito la nascita di partiti mediatori sociali e ha consentito il proliferare di partiti-associazioni a carattere famigliare senza regole. Gruppi di autocrati auto referenti, immarcescibili a qualunque sconfitta, attaccati alle poltrone. E si comprende perché quando i leader varano riforme che la maggioranza dei cittadini non condivide, si levano nei partiti sterili e flebili voci di protesta, ed alle grandi manifestazioni popolari si cerca di supplire con qualche intervista che cade nel vuoto.


Negli USA, il partito non ha forti connotazioni ideologiche né uno stabile apparato burocratico, poiché gli organizzatori si mobilitano al momento delle scadenze elettorali. Le caratteristiche dei partiti statunitensi possono riassumersi nel decentramento dei poteri al suo interno, nell'esistenza di una dettagliata regolamentazione interna dei militanti e nella non interferenza dei partiti nella scelta dei candidati alle cariche della Pubblica Amministrazione. Dopo le elezioni, il partito soccombente perde il suo capo e la leadership tende a diluirsi tra diverse personalità politiche.


In Inghilterra, ove pure la leadership nei partiti è molto forte, vigono le regole rigorose comuni a tutti i partiti: tra queste, la sostituzione immediata del leader in caso di sconfitta elettorale, l'organizzazione di un congresso annuale o ogni due anni, la selezione dei candidati collegata alla scelta della base nell'ambito di una rosa di nomi predisposta dall'ufficio centrale del partito. In Italia invece i congressi sono rari e ciò rende impossibile alcun ricambio. I programmi e gli statuti vengono presentati già confezionati.


In Germania l'organizzazione dei partiti è molto complessa.

Il congresso del partito socialdemocratico si riunisce ogni due anni3. I candidati politici sono designati nell'ambito dei collegi elettorali, sulla base delle proposte provenienti dalle organizzazioni partitiche locali. Riguardo agli apparati, lo Statuto prevede che tutti i mandati e le funzioni di partito donne ed uomini siano rappresentati rispettivamente con il 40% dei posti.


In Francia vige l'incompatibilità tra mandato ministeriale e quello parlamentare ed il reclutamento non partitico del personale di Governo. E le controversie interne ai partiti sono normalmente pubbliche. Le donazione delle persone fisiche a favore di uno stesso partito non possono eccedere la cifra di undici milioni di lire. A partire dal 1995, sono stati invece vietati i contributi da parte delle persone giuridiche ai partiti e ai candidati.


Cosa occorre in Italia per una reale democrazia.


In Italia la sola strada da percorrere è una legge ordinaria che introduca una serie di regole inderogabili che prevedano la nascita e la registrazione di un nuovo partito alla presentazione di un programma politico nazionale, cioè di un progetto che concerna l'indirizzo politico generale del paese, anche se impostato sulla visione ideologica particolare propria di ciascun partito, alla stregua di ciò che avviene in Germania. Il controllo non può ovviamente estendersi al merito del programma perché ciò inciderebbe sulla autonomia politica dei partiti. Questo al fine di evitare il proliferare di partiti dello stesso stampo che finiscono per favorire il personalismo e il clientelismo.


Occorre prevedere – ed è questo un aspetto fondamentale sulla moralizzazione dei partiti – il controllo della gestione economica finanziaria dei partiti ponendo ad essi l'obbligo della rendicontazione delle loro entrate ed uscite e dei loro patrimoni, per rendere pubblici e trasparenti i loro finanziamenti.


Occorre inoltre:

  • assicurare per legge la par condicio dei partiti4, che abbiano un congruo numero di iscritti veri, nell'accesso ai mezzi di informazione nella politica ed elettorale;

  • vietare una pubblicità dei partiti assimilata a quella di tipo commerciale5.



La legge dovrebbe regolare a monte i conflitti d'interesse al fine di prevenirli, come accade in Germania, in Francia e negli Stati Uniti.


Ferdinando Imposimato,
in collaborazione con Niccolò Disperati


9 Aprile 2007




1Hans Kelsen: Giurista ceco, teorico del “normativismo” o dottrina pura del diritto.

2Consociativo: perseguimento di interessi particolari comuni a maggioranza e opposizione.

3Per consentire un ricambio frequente di persone e programmi. Per evitare che i congressi si tengano solo ogni 5 o addirittura 10 anni lasciando al vertice le stesse persone e mantenendo gli stessi programmi.

4La par condicio non esiste in Italia: alcuni partiti o gruppi di poteri detengono il monopolio dell'informazione TV. C'è una specie di video-crazia. Non esiste la parità di condizioni per l'accesso ai mezzi d'informazione.

5La politica deve spiegare le ragioni.

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domenica 11 marzo 2007

La legalità e le nuove forme di corruzione. Il conflitto d’interesse.

La legalità e le nuove forme di corruzione. Il conflitto d’interesse.

Nelle ultime  inchieste  giudiziarie di Milano e Roma mancano i classici reati di corruzione e di concussione che caratterizzarono la tangentopoli degli anni novanta.  Oggi  il fenomeno corruttivo ha trovato forme più sofisticate. E spesso coperte da leggi e provvedimenti amministrativi 1. A dominare la scena sono  l’insider trading e l’aggiotaggio. Il primo consiste nel fatto di chi abusa di informazioni privilegiate di cui è in possesso quale  azionista di una società o quale controllore per compiere operazioni speculative di acquisto o vendita.  Il secondo consiste nel comunicare notizie false, esagerate o tendenziose  o simulate per determinare una alterazione del prezzo di azioni o obbligazioni.  Vittime di questo mercato illecito sono gli ignari azionisti che vedono dissipati i loro sudati risparmi nello spazio  di un mattino.  In questi due fenomeni delittuosi si inserisce quasi sempre  la mancanza di controlli da parte degli organismi che tale funzione dovrebbero svolgere. E nei quali operano personaggi che dovrebbero essere arbitri imparziali ed invece si trovano in una posizione di  conflitto di interessi 2. Ed è proprio questo l’anello debole della nuova tangentopoli degli anni 2000: la mancata disciplina del conflitto come delitto autonomo, dopo la grave depenalizzazione dell’interesse privato in atti di ufficio (ex art 324 cp) avvenuta improvvisamente nel 1990 3. La quale ha consentito il prosperare di vecchie e nuove  forme di  criminalità che vanno sotto il nome di “colletti bianchi4 . Ed è proprio da questo che bisogna partire per capire ciò che di molto complesso sta accadendo.

Il conflitto d’interesse è  la situazione  apparentemente “legale” in cui viene a trovarsi un governante, un amministratore, un banchiere, un politico  o  un giudice, che anziché fare l’interesse pubblico nella sua attività istituzionale, cura il suo interesse privato o quello di amici e prestanomi.

Esso viola anzitutto l’articolo 97 della Costituzione che impone alla PA di rispettare i principi del buon andamento e  dell’imparzialità. Viola codici deontologici. Ma non viola il codice penale.  Ed oggi è divenuto   il principale  strumento di  corruzione. Un cancro che affligge la politica, parte della magistratura e le istituzioni pubbliche e private da decenni. E che non si riesce a debellare. Proprio perché chi dovrebbe debellarlo – in primis il governo – versa in clamorosi conflitti di interessi e non ha interesse a risolvere il problema.  Anzi la legislazione varata va nella direzione opposta, che è quella di favorire operazioni societarie sottocopertura, che nascondono spesso il riciclaggio di capitali sporchi di provenienza delittuosa.  Quasi  sotto silenzio è passata una notizia del Corriere del  31 dicembre 2005,  sul  probabile  riciclaggio di capitali mafiosi nelle  varie scalate  bancarie  di questi anni.   La Guardia di Finanza avrebbe scoperto nel 2005 che  uno degli immobiliaristi 5  che controlla una ragnatela di società in tutto il mondo,  coinvolto come “concertista” nell’operazione Antonveneta e  come  titolare di azioni della BNL  poi cedute ad Unipol in vista della scalata alla Banca romana avrebbe  utilizzato come consulente uno dei personaggi  responsabili di riciclaggio del denaro illecito proveniente dal clan Piromalli. A questi l’immobiliarista avrebbe lasciato il compito di  gestire il contatto con gli istituti di credito per le scalate.  Un altro “consulente” dell’immobiliarista - parola magica che nasconde  spesso fenomeni di riciclaggio e di corruzione - , stando alle notizie sul Corriere e sul Sole 24 ore,  avrebbe compiuto un’altra operazione “in concerto” con   un prestanome del  cassiere della Banda della Magliana.  Che altro non è che Cosa Nostra.

Il caso più clamoroso riguarda certamente l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che ha approvato leggi che favoriscono  i suoi interessi patrimoniali – vedi leggi sul falso in bilancio, sulla esportazione di capitali 6 e sul condono agli evasori;  gli interessi giudiziari propri  e di amici, come  la legge ex Cirielli 7,  una forma di indulto ad personas; ma anche gli interessi politici, come le leggi che alterano la par condicio nell’uso dei mezzi di informazione, condizione indispensabile per una corretta competizione democratica, senza che intervenga alcuna sanzione. A ricordarci questa  anomalia non sono state le toghe rosse, ma la stampa europea di ogni colore. Dal Times, simbolo dei conservatori inglesi. Gli stessi toni critici ispirano Le Monde, l’Herald Tribune, El Pais,  Der Spiegel non sospettabili di filocomunismo.

Il Financial Times parlava delle grandi infrastrutture. A tutto questo occorre aggiungere un dato inquietante. Riguarda il record che detiene l’Italia nelle violazioni di direttive europee in materia di appalti per le grandi opere pubbliche. Violazioni che chiamano in causa principalmente l’ex-Ministro Pietro Lunardi, responsabile delle grandi infrastrutture. Esistono, infatti, -lo ha ricordato l'ex Ministro Buttiglione- ben 266 procedure europee contro l’Italia, delle quali 46 riguardano le norme in materia di grandi opere pubbliche. Un bilancio anormalmente alto a causa di una certa “renitenza da parte dell’Italia a svolgere  appalti europei”. In realtà l’ex Ministro Lunardi  decise di disapplicare  le leggi europee per favorire a proprio arbitrio  le imprese di parenti, amici e consociati. Senza andare incontro a sanzioni ! Uno dei casi più clamorosi di conflitto di interessi riguarda il conflitto di interessi dell’ex Ministro Lunardi nell’Alta velocità  nella  Lione-Torino. Nominato Ministro nel 2001 Lunardi annunciò la vendita della sua società, la Rocksoil, poiché molti contratti ricadevano sotto la sua competenza di Ministro. Poi disse che avrebbe concentrato il  lavoro della Rocksoil all’estero per evitare conflitti di interessi. In realtà l’unico cambiamento si verificò nel 2005 quando la moglie, amministratrice della Rocksoil, cedette le sue quote ai figli. L’ex Ministro ottenne una commessa francese per la progettazione di un tunnel sulla linea ad Alta Velocità Lione Torino. Ed oggi dice che l’Alta Velocità è indispensabile. Ma quale credibilità aveva un  Ministro parte in causa nelle opere  infrastrutturali?  Lo stesso Ministro  ha preso l’appalto per la linea  ferroviaria Milano Malpensa, il corridoio Torino Brennero, il passante di Mestre, l’autostrada Aosta Monte Bianco, l’autostrada Valtrompia Brescia Lumezzane, l’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, il terzo traforo del Gran Sasso. Molti di questi lavori si pongono in contrasto con i principi di  deontologia  professionale del decreto del Ministro Frattini. Che però non ha sanzioni!

Il ministro del secondo governo Prodi, Antonio Di Pietro ha tempestivamente eliminato molti degli appalti inquinati dal conflitto d’interesse.

Un altro fenomeno grave ha riguardato per anni i conflitti di interesse della Banca di Italia.  La mancata  soluzione dei problemi emersi in materia di risparmio ( i casi dei bond Argentini, Parmalat, Cirio e l’Antonveneta), derivò da situazioni confliggenti della Banca d’Italia. Che da un lato svolgeva compiti  di vigilanza e di controllo sugli istituti di credito; dall’altro era di proprietà degli istituti di credito che avrebbe dovuto controllare (ex banche pubbliche divenute private); e dall’altro ancora era organo di tutela dei risparmiatori  cui la Costituzione  assegna una speciale protezione. A questo si aggiunge un altro paradosso: la confusione tra controllori e controllati.

Che il CICR (il comitato  per il credito e il risparmio), organo che doveva controllare  la  regolarità della condotta del  Governatore della Banca d’Italia, era composto non solo dallo stesso  Governatore che dovrebbe essere controllato dal CICR, ma anche dai rappresentanti delle banche controllate, comproprietarie della Banca d’Italia, e di Ministri che  avevano  interesse a favorire finanziamenti localistici, aperture di sportelli, prestiti a gruppi di clientes,  e roba del genere. Un guazzabuglio reso possibile da leggi non leggi e carenze di leggi.

Il dissesto

Parmalat giunse dopo altre due truffe colossali dei risparmiatori, i bond Cirio e i titoli argentini, con 23 miliardi di euro bruciati. Con l’amara sensazione per gli investitori di non potersi difendere. La SEC (Security and Exchange Commission) descrisse  il caso Parmalat come “una delle più grandi e spudorate frodi finanziarie della storia”. L’organo che tutela i risparmiatori americani vittime della truffa parla con la voce dell’esperienza, avendo gestito gli effetti degli scandali Enron e Tycon. E’ stata necessaria l’inchiesta della magistratura milanese per  costringere il Governo a varare una legge sul risparmio che elimina  in parte questi conflitti. Le operazioni truffaldine sono state compiute con  l’avallo formidabile  di una politica criminogena fondata sulla depenalizzazione dell’interesse privato in atti di ufficio, sulla legittimazione dei fondi neri, sui condoni con il rientro dei capitali illeciti, sulle evasioni fiscali. Ma le operazioni sono state anche il risultato di controlli pressoché inesistenti di Banca d’Italia, in primis. Ma anche dell’autorità della borsa CONSOB, borsa, sindaci, revisori dei conti e agenzie di rating che non hanno funzionato e non hanno garantito, come dovevano, un reticolo di trasparenza e affidabilità.

Gli organi di controllo sono stati un costosissimo apparato di supporto per una miriade di delitti (aggiotaggio, insider trading, truffa, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, riciclaggio) al confronto dei quali i reati del crimine organizzato appaiono ben poca cosa. La gravità dell’imbroglio è nel fatto che esso è stato reso possibile dalla complicità o dalla connivenza  di soggetti istituzionali e di banche. Ancora una volta, prima della politica, sono arrivati i magistrati che hanno fatto il loro dovere, senza guardare in faccia nessuno. Vi è stato l’intervento rapido, esemplare e competente della magistratura inquirente. Quella stessa magistratura che, sottoposta da anni agli attacchi forsennati del ex-Governo Berlusconi, è oggi l’unica funzione pubblica italiana che, in questo momento, tiene alto il prestigio del Paese. Allo stato attuale delle indagini il dubbio se le banche abbiano dato prova “solo” di incompetenza e di negligenza, o se vi siano state anche malafede, disonestà e complicità si sta lentamente sciogliendo.  Emerge sempre più netta la responsabilità di alcune banche nel grande imbroglio.

I nostri banchieri per i rapporti con Parmalat avevano tutti i mezzi e gli elementi per scoprire la frode in danno ai risparmiatori. Sennonché anche quando cominciavano ad addensarsi nubi di sospetto su Parmalat,  una grande banca italiana ha comprato i bond Parmalat e li ha offerti agli ignari risparmiatori.

La Procura di Milano  chiese  il rinvio a giudizio  di 32 persone con l’accusa di aggiotaggio e ostacolo alla Consob avviando il procedimento contro Calisto Tanzi, suo figlio Stefano, suo fratello Giovanni, la nipote Paola Visconti, i direttori finanziari Fausto Tonna, Luciano Del Soldato e Alberto Ferrarsi, 22 tra amministratori, revisori e sindaci, più le persone giuridiche – ed è questa la novità- delle società di revisione Italaudit ex-grant Thornton e Deloitte & Touche e di Bank of America.  

Su quest’ultima i PM hanno precisato l’accusa  che richiama la comunicazione al mercato del 18 dicembre 1999, concordata tra Tonna e Sala  (Parmalat  e Boaf). Nella quale si affermava falsamente che i nuovi asseriti azionisti della brasiliana Parmalat fossero investitori nordamericani coordinati dalla Boaf e si occultava che erano due società anonime delle isole Cayman”.  

Una menzogna che  da un lato ha  sostenuto il titolo Parmalat in borsa a Milano, dall’altro ha causato agli investitori  e alla Boaf un danno di 400 milioni di dollari, proprio mentre tre manager della Boaf e l’ex direttore della Banca cantonale dei grigioni (svizzeri) guadagnavano in nero 21 milioni di dollari erogati da Parmalat a titolo di commissione per la chiusura dell’operazione. La magistratura dimostra ancora una volta di andare avanti senza strumentalizzazioni e senza guardare in faccia a nessuno.  L’uscita dei verbali è senz’altro da attribuire a persone che  non fanno parte della magistratura inquirente. Di pari passo con Milano procedono spedite anche le due inchieste a Parma e a Berna  sul fallimento della multinazionale di Collegno. Ancora una volta a muovere la macchina della corruzione è stato un ceto politico arrembante,  con l’appoggio di  potentissimi banchieri.

Al  confronto dei quali  i vari Michele Sindona e Roberto Calvi, finanziatori   dei politici  ed  antesignani del sistema di corruzione degli anni settanta, appaiono degli innocenti agnellini. E come in passato,  i finanziatori rischiano di essere i soli capri espiatori, mentre i politici resteranno indenni.

Questa volta anche i banchieri sono fuori dallo scandalo.  Il loro potere  di ricatto sui politici  è enorme.  A dovere rispondere ai giudici  delle accuse di aggiotaggio, truffa  e falso sono per il momento funzionari  e  dirigenti bancari. Viene fuori che  molti politici  ottennero da Calisto Tanzi degli aerei non solo per i loro pubblici impegni ma anche per i loro comodi e le loro vacanze. I finanziamenti sono avvenuti con diversi sistemi: attraverso intermediari di fiducia dei destinatari finali, le consulenze fittizie a società amiche esperte nel nulla, l’acquisto di imprese decotte con l’appoggio di banchieri amici,  l’appoggio politico  a banche per fusioni  e salvataggi. E poi vi è stato il classico sistema del pagamento dei partiti e dei politici. Il Wall street Journal  afferma, citando l’avvocato di Tanzi, che Parmalat ha versato mediamente 1,9 milioni di euro l’anno per una spesa finale di 200 milioni di dollari. Una cifra enorme pari a 250 miliardi delle vecchie lire.  Fausto Tonna  e  Tanzi hanno parlato  di finanziamenti   a partiti  e a singoli politici non per il classico scambio di  tangentopoli, ma  per un rapporto più complesso. I soldi servivano ad ottenere l’intervento dei politici sulle banche  per  ottenerne i finanziamenti e per  operazioni di  compravendita di società dissestate. Tanzi e Tonna hanno detto  che Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, avrebbe fatto pesanti  pressioni su Tanzi  per costringerlo ad acquistare  la dissestata  Eurolat dalla  Cirio di Cagnotti. Ma questa operazione sarebbe avvenuta per interessamento di uomini politici.  Chi sono questi uomini politici? Mistero.

Altre  operazioni  sospette  riguardano  il Ministero dell’agricoltura. Ad incassare  soldi sarebbero stati due ministri . Uno  della maggioranza e l’altro, oggi,  dell’opposizione. Ma tutti e due erano ministri in carica al momento dell’esazione.  Proprio  in relazione ad  uno dei due finanziamenti, la Parmalat  ebbe  un aiuto di 68 miliardi  di vecchie  lire a fondo perduto, anche se- come dice  Paolo De Castro, ex ministro dell’agricoltura-  il finanziamento era stato “pensato e deciso per le piccole e medie imprese”. De Castro ammette:”è vero, commettemmo un errore”. Domanda: ma fu un errore? O fu la contropartita data  a  Parmalat per finanziamenti che Tanzi aveva fatto in precedenza? L’omertà.

Si dice che nei finanziamenti dei politici così come sono avvenuti  non si ravvisano responsabilità  penali.   Ed è così, anche perché il finanziamento illecito dei partiti è stato depenalizzato. Così come fu improvvisamente abrogato il delitto di interesse privato  in atti di ufficio, che  era stato un baluardo nella lotta ai conflitti di interesse. E il falso in bilancio è divenuto un reato contravvenzionale.

Ma  la  mancanza di reati   non è  una ragione  per tacere. La questione morale e politica si pone in modo anche più  rilevante che in passato. Qui sono stati truffati centinaia  di migliaia di risparmiatori  sia per i finanziamenti ai politici ed ai partiti sia  per  le operazioni sbagliate imposte a Calisto Tanzi  da politici e banchieri senza scrupoli.

La vicenda dell’arresto di Danilo Coppola –a parte la coraggiosa inchiesta dell’Espresso-, è stata relegata dai maggiori quotidiani italiani nelle notizie di cronaca. E’ un segnale allarmante rispetto ad un fenomeno molto grave che riguarda corruzione e criminalità organizzata.

Il governo Prodi deve risolvere il problema dei conflitti d’interesse che sono la maggiore minaccia per la nostra democrazia e deve farlo al più presto. Ripristino del reato penale dell’interesse privato negli atti d’ufficio ed eliminazione della confusione tra controllori e controllati in tutti i campi: banche, politica, pubblica amministrazione, industria, commercio, authority, ecc.


Ferdinando Imposimato


11 Marzo 2007




1 Si tratta di leggi – non leggi – emanate non nell’interesse generale ma di persone o gruppi di potere.

2 Ad esempio, l’industriale Calisto Tanzi era membro del consiglio di amministrazione di alcune banche alle cui chiedeva finanziamenti per sé stesso. Il conflitto d’interesse sussiste evidentemente.

3 La depenalizzazione dell’interesse privato in atti di ufficio (ex art 324 cp) avvenne ad opera del VI governo Andreotti-Martelli.

4Colletti-bianchi” ovvero criminali insospettabili nel mondo della politica o della pubblica amministrazione o dell’industria.

5 Danilo Coppola è un immobiliarista arrestato nel marzo 2007 per bancarotta fraudolenta e riciclaggio di denaro proveniente da delitti. La speculazione selvaggia incide sul costo della casa facendolo aumentare.

6 L’esportazione di capitali serve a coprire operazioni di riciclaggio di denaro sporco fatto all’estero al di fuori dei controlli.

7 La legge ex-Cirielli prevede, tra l’altro, la prescrizione breve di molti reati gravi.

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Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi