martedì 11 agosto 2009

La libertà di  stampa  declina e con essa la democrazia

La libertà di  stampa  declina e con essa la democrazia

Il Quirinale  si è detto  stupito e amareggiato per la rottura tra Sky e Rai, per la quale la RAI perderà circa 60 milioni di euro l'anno. L'accordo  prevedeva che gli abbonati Sky  avessero  la visione dei sei canali Raisat. Il fallimento della trattativa ha comportato che dal primo agosto dalla piattaforma sono spariti i sei canali, tra cui RAI 1 RAI 2 e RAI 3 . Ma non solo questa è la conseguenza delle scelte del direttore generale della RAI, ex  segretario generale della Presidenza del Consiglio.  Il Presidente Napolitano  mostra “disappunto”, il che è un po' poco, essendo  non solo danneggiato economicamente il servizio pubblico, ma  in pericolo la libertà di stampa che è l'essenza stessa  della democrazia.  In quanto custode a garante della Costituzione, il Presidente della Repubblica  non può disinteressarsi  di quel servizio pubblico, finora bistrattato da Berlusconi,  su cui si imperniano principi fondamentali come il pluralismo e la libertà di informazione, sanciti solennemente dall'art 21 della Costituzione.  O interessarsene tardivamente. Il Presidente del Consiglio, dopo essere sopravvissuto politicamente alle nefandezze delle squillo a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa, alcune delle quali  assurte agli onori del Parlamento per i favori concessi al principe ,  sta distruggendo, nella disattenzione generale ,  quel minimo di libertà di informazione che era concentrata in RAI 3. Non  può passare sotto silenzio  il richiamo minaccioso  a RAI 3 del   Presidente del Consiglio, secondo cui  non può essere consentito ad una tv pubblica,  finanziata  con i soldi pubblici,  di attaccare il governo. E' una pretesa assurda:  RAI tre non attacca nessuno;  si limita a dare con grande equilibrio  notizie precise  sui comportamenti disdicevoli del Capo del Governo. E', invece,  RAI 1 del servo Minzolini  a venire meno al suo diritto-dovere di informare compiutamente  la pubblica opinione, pur essendo pagata per questo.   Non può essere consentito ad un Presidente del Consiglio di avere il silenzio-omertà sui favori sessuali di una serie di prostitute, favori ottenuti sfruttando la qualifica di Presidente del Consiglio ed usando aerei dello Stato per il loro trasporto. Né può essere permesso  che la scelta di alcuni parlamentari avvenga non per meriti personali in qualche campo ma come retribuzione per  più o meno eccellenti prestazioni  erotiche  a favore del Presidente del Consiglio o dei suoi ospiti . Non è  politicamente, moralmente  e forse  anche  penalmente  indifferente che siano  decise     candidature-nomine di squillo o mignotte  al Parlamento nazionale , ( ma la legge elettorale porcata con liste bloccate fu  voluta in funzione della  “nomina” delle squillo?) o al Parlamento europeo solo o prevalentemente per meriti erotici.  E che questo  attacco alla dignità delle istituzioni repubblicane  sia denunziato  dalla moglie del Presidente del Consiglio, che si è servito della TV pubblica per  fare la propria difesa  imperniata su una serie di bugie spudorate, tutte venute alla luce del sole.    Mi chiedo sommessamente: se un Sindaco offre la poltrona di assessore o di  consulente  ad una prostituta  per  i  favori  concessi   a letto, viene  incriminato per abuso in atti di ufficio o per corruzione per atto di ufficio ?  Non c'è dubbio!  E  se un magistrato, che  ottiene i favori  di una prostituta  in cambio di una decisione favorevole,  viene non solo incriminato per corruzione  e  cacciato dalla magistratura, perché per  il presidente del Consiglio ,   analogo   comportamento diventa titolo di merito, ed anzi  accresce la sua arroganza, al punto che egli si permette di distruggere la TV pubblica per impedire che   parli  delle nefandezze commesse? E la Unione Europea che fa di fronte a queste violazioni dei diritti inviolabili dell'uomo e delle libertà fondamentali? E il paese perché si disinteressa di queste nefandezze? Giovanni Valentini su Repubblica riconosce che un intervento più tempestivo del Colle sarebbe  valso forse ad impedire  i provvedimenti liberticidi attuati in RAI, che erano ampiamente previsti. Oggi  serve a  poco  mostrare delusione. Oggi occorre che gli italiani consapevoli scendano  in piazza ,  sostenendo  la iniziativa di Dario Franceschini, segretario del PD- relegata in un trafiletto in 11° pagina del Corriere-,  che  a settembre  ha  promosso una mobilitazione  in difesa della libertà di  stampa, presidio della democrazia.

Non solo si  sta verificando una grave limitazione alla libertà di stampa, ma anche un danno grave allo Stato : il prossimo bilancio RAI si impoverirà di una cospicua entrata finanziaria. Sicché un intervento della Corte dei Conti – che si è inutilmente tentato di trasformare in organo di Governo-  contro il direttore generale della RAI e i singoli consiglieri di amministrazione,  che hanno dato il loro voto favorevole, sarebbe doveroso.  La RAI , oltre a perdere l'audience , e quindi la pubblicità raccolta attraverso la Pay TV,  dovrà sostenere una quota dell'onere della nuova piattaforma TV  di Tivusat. E tutto questo per fare un favore a  Mediaset  nella sfida della concorrenza  con  Sky, come ha riconosciuto- tardivamente -  il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Sergio Zavoli. Del resto inesistente  era stata la risposta di   Zavoli ,   durante  tre legislature,  rispetto al problema del conflitto  di interessi; é troppo comodo limitarsi, come fa Zavoli,  ad esortare   Mauro Masi, direttore generale della RAI,  a riprendere la trattativa RAI-SKY poiché ciò sarebbe conforme “all'interesse nazionale”. E ad affermare che  “riportare  i canali RAI e Raisat su Sky gioverebbe a criteri di utilità  imprenditoriale e industriale, considerando che i canali RAISAT non sono più ricevibili altrove” . Questi appelli non servono a nulla, sono ipocriti! Ben altro, che una questione economica,  è il danno al Paese da ciò che sta accadendo nella ignoranza generale. Zavoli finge di reagire ad una situazione che era prevedibile , essendo diretta conseguenza della mancata soluzione  del conflitto di interessi, del quale l'ineffabile Zavoli , amico di Gianni Letta , non si è mai curato. Ma lo scempio delle TV  pubbliche,  iniziato con la nomina di  Augusto Minzolini al vertice di RAI 1,  è proseguito con le nomine di Bruno Socillo alla Direzione Radio, di Antonio Preziosi al posto di Antonio Caprarica, al GR e a Radio 1,  di Flavio Mucciante a radio 2 , di Marino Sinibaldi a radio 3, tutti uomini fidati del despota della informazione pubblica e privata. 

Dissente Paolo Garimberti, Presidente della RAI,  che critica le nomine, ma,  come  Sergio Zavoli, resta attaccato alla poltrona  , senza un minimo di dignità. Nel frattempo la RAI perde  share  e introiti pubblicitari calcolati nell'ordine di 150 milioni di euro. Intanto Mediaset agisce per fagocitare la tv pubblica su audience e raccolta pubblicitaria. Se nella primavera del 2006  il distacco era di 3,9% di share a favore di Mediaset,  ora quel divario è aumentato del 7%, dati presentati da Mediaset agli analisti finanziari. La libertà di informazione  esiste  solo se vi  é   pluralismo della informazione;  se invece  vi  è  concentrazione degli organi di informazione nelle mani di pochi gruppi o persone,  o addirittura di una sola persona,  che non sono è editore  puro ma affarista,   la libertà di stampa  é apparente.

Albert  Einstein,  dall'America  profetizzò 65 anni fa  lo scenario odierno, dicendo: “ Le moderne democrazie , che mascherano regimi tirannici, utilizzano i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini”.  “Nelle condizioni attuali, i capitalisti privati controllano inevitabilmente in modo diretto o indiretto , le principali fonti di informazioni ( stampa radio)” ( all'epoca non c'era la TV nda). “Per cui é estremamente difficile, e nella  maggior parte dei casi  impossibile, che il singolo cittadino possa arrivare a conclusioni oggettive e avvalersi in modo intelligente dei propri diritti politici”. La stessa analisi può valere per l'Italia ove esiste un pensiero unico dominante nella informazione monopolizzata da  cinque   testate TV che brillano  per  la falsificazione delle notizie e i loro silenzi su questioni cruciali, come quelle che riguardano le condotte scellerate del Presidente del Consiglio.

Abbiamo il dovere di ripetere  che il declino della informazione  risale a precise responsabilità di Massimo D'Alema. L'inizio della fine del pluralismo risale al 1994,  con l'elezione al parlamento italiano di Silvio Berlusconi. Fu  la furbizia gravemente censurabile di Massimo D'Alema  a compiere il primo di una serie di errori, che hanno portato il paese sull'orlo del baratro oltre il quale sta la fine della nostra democrazia. La furbizia consistette nel volere ignorare, a dispetto dei richiami di talune delle coscienze più sensibili- come Paolo Sylos Labini, Giorgio Bocca e Vito Laterza- l'esistenza di un decreto presidenziale 30 marzo 1957 n 361 che all'articolo 10 contempla esattamente il caso Berlusconi: “Non sono eleggibili coloro che, in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica...”. Quando Berlusconi fu eletto, la giunta delle elezioni , dovendo decidere sulla sua eleggibilità , concluse, errando , per la eleggibilità di  Berlusconi, in base ad un'assurda interpretazione della  legge.

Giovanni Sartori ammonì: “ io mi rifiuto di giocare a scacchi contro qualcuno che ha due regine perché così lui vince sempre ed io perdo sempre”. E ciò é vero: si tratta di un non risolto problema di fondo della nostra democrazia, perché democrazia vuol dire competizione alla pari tra i partecipanti alla contesa elettorale, come stabilisce l'articolo 51 della Costituzione. E se questa regola cardine non é rispettata, questa é una minaccia per la nostra democrazia.

Questa  “furbizia” suicida  fu il risultato di una serie di accordi basati sul compromesso illusorio della Bicamerale. L'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema, bisognoso del sostegno parlamentare anche dell'opposizione, disse che Mediaset non si toccava perché era un patrimonio nazionale.  Ma il problema non era toccare Mediaset, ma applicare la legge.  Mediaset sarebbe sopravvissuta, ma il suo proprietario non era eleggibile. Ed il governo di centro sinistra si pronunciò per  l'eleggibilità di Berlusconi solo per una cieca ambizione di D'Alema che si illuse di avere i voti di Berlusconi per stravolgere  la Costituzione. Luciano Violante avrebbe poi spiegato che c'era stato un vero e proprio  impegno formale occulto   di  Massimo D'Alema  a non toccare le TV di Mediaset. E questo ha segnato per sempre il futuro della nostra democrazia in senso negativo con la rassegnazione di tutti, tranne che di Paolo Sylos Labini, che nel frattempo é morto.  Oggi dobbiamo sperare che il congresso del PD porti una ventata di rinnovamento e di trasparenza. Che non può essere D'Alema ,  lo stesso che aprì la strada alla riforma del Titolo V . Che ha portato  come conseguenza “legittima” “Le Ronde”, il “dialetto padano” nella scuola, le gabbie salariali ,  la scuola per gli immigrati separata da quella dei cittadini. Una serie di disastri che gli italiani debbono conoscere. Oggi D'Alema sta condizionando il congresso del PD anche con il sostegno a personaggi discussi e discutibili. Un suo successo, sia pure per interposta persona,  sarebbe esiziale per la democrazia.

 

Ferdinando Imposimato

10 Agosto 2009


Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi